Appalti pubblici: In caso di fallimento dell’appaltatore,il credito del subappaltore non è prededucibile.
In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione. Così è stato stabilito dalla Sezioni unite della Cassazione civile con la sentenza n. 5685/2020.
La soluzione | |
In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie. Al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione. | |
I precedenti | |
Cass. civ. Sez. I Sent., 05/03/2012, n. 3402 | Ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ora menzionato dall’art. 111 legge fall., va inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e dunque risponda agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare. Invero, la prededuzione attua un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l’amministrazione fallimentare ed influiscono sugli interessi dell’intero ceto creditorio. (Nella specie, è stato ammesso in prededuzione il credito, sorto in periodo anteriore al fallimento, relativo al corrispettivo di un subappalto concluso con il gruppo della società fallita, cui le opere erano state appaltate da un ente pubblico, sussistendo il nesso di strumentalità tra il pagamento del credito del subappaltatore, da eseguire con detta preferenza e seppur a seguito di riparto, e la soddisfazione del credito della fallita, tenuto conto che il pagamento di quest’ultimo risulta sospeso, ai sensi dell’art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, da parte della stazione appaltante, ed invece può essere adempiuto se consti il pagamento al predetto subappaltatore) |
Cass. civ. Sez. I Sent., 07/03/2013, n. 5705 | In tema di danno ambientale, ed in fattispecie in cui risulti inapplicabile la corrispondente normativa di cui al d.lgs 2 aprile 2006, n. 152, priva di carattere retroattivo, la responsabilità del proprietario utilizzatore del sito contaminato, una volta accertato il nesso di causalità tra la sua attività produttiva e l’avvenuta contaminazione dei luoghi, è disciplinata dall’art. 17 del d.lgs. 22 aprile 1997, n. 22, che gli impone di attivarsi al fine di porre in essere atti e comportamenti unitariamente finalizzati al recupero ambientale del predetto sito, nonché, per il periodo precedente alla entrata in vigore di tale provvedimento legislativo, dall’art. 2050 cod. civ. (non incompatibile con l’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349), fermo restando che, alla stregua dell’art. 5 bis, primo comma, lettera c), del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, i criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria stabiliti dall’art. 311, comma 2 e 3, del citato d.lgs. n. 152 del 2006 si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986, salva la già avvenuta formazione del giudicato. |
Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 22/03/2017, n. 7392 | Ai fini della prededucibilità dei crediti nel fallimento, il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ora menzionato dall’art. 111 l.fall., va inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e, dunque, risponda agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare, attuando la prededuzione un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte al suo interno, ma anche tutte quelle che interferiscono con l’amministrazione fallimentare ed influiscono sugli interessi dell’intero ceto creditorio. Ne consegue che il credito del subappaltatore della società appaltatrice poi fallita può essere ammesso in prededuzione solo se ed in quanto esso comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro ed indubbio vantaggio conseguente al pagamento della committente P.A., la quale subordini il suo pagamento di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito, ai sensi dell’art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006. |
Cass. civ. Sez. I Sent., 21/12/2018, n. 33350 | In caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della “par condicio creditorum” e dell’ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 111, comma 2, l.fall.; invero, il meccanismo ex art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 – riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un’impresa “in bonis”, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente “debole”, sicché detto meccanismo non ha ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie. |
Il giudice delegato al Fallimento M. s.r.I., ammettendo al passivo della procedura i crediti vantati dalla B. s.r.l. in via chirografaria, respingeva la richiesta di collocazione in prededuzione avanzata da quest’ultima, quale subappaltatrice di lavori pubblici commissionati alla M. dal Consorzio BBM.
L’opponente B. s.r.l. deduceva che la mancata trasmissione delle fatture quietanzate alla stazione appaltante determinava la sospensione del pagamento a favore dell’appaltatrice M., a norma dell’art. 118 del d. Igs. 12 aprile 2006, n. 163 e giustificava l’ammissione del proprio credito in prededuzione, in quanto funzionale agli interessi della massa fallimentare.
Ad avviso del tribunale, il fallimento dell’appaltatore provoca l’automatico venir meno del vincolo negoziale e, di conseguenza, l’inapplicabilità dell’art. 118 citato, anche alla luce delle modifiche normative introdotte dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 9, dalle quali si desume che presupposto dell’art. 118 codice appalti è la vigenza del contratto di appalto tra la stazione appaltante e l’appaltatore.
Avverso questo decreto la B. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione.
Il Collegio della l^ sez. civ. ha rimesso all’esame delle Sezioni Unite la questione, sulla quale ha registrato un contrasto di giurisprudenza all’interno della sezione, riguardante le modalità di soddisfacimento del credito del subappaltatore di opera pubblica nei confronti dell’appaltatore in caso di fallimento di quest’ultimo e, in particolare, se, ove residui un credito dell’appaltatore verso l’amministrazione appaltante e l’amministrazione abbia in base al contratto opposto la condizione di esigibilità di cui all’art. 118 del codice del 2006, il curatore, che voglia incrementare l’attivo, debba subire o meno, sul piano della concreta funzionalità rispetto agli interessi della massa, la prededuzione del subappaltatore.
La questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite attiene alla configurabilità o meno di un nesso intercorrente tra il disposto dell’art. 118, comma 3, del codice del 2006 e l’istituto fallimentare della prededuzione di cui all’art. 111, ultimo comma, legge fall., secondo il quale sono prededucibili i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.
Nella giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui la stazione appaltante abbia disposto la sospensione del pagamento a favore dell’appaltatore, si è ritenuto che l’unico modo per sbloccare detta sospensione sia quello di riconoscere al credito del subappaltatore il beneficio della prededuzione, al fine di favorire il pagamento da parte della stazione appaltante e, di conseguenza, di incrementare l’attivo della massa fallimentare, nell’interesse dell’intero ceto creditorio.
Secondo quest’orientamento, il meccanismo configurato dall’art. 118, comma 3, determina una «condizione di esigibilità» del pagamento da parte della stazione appaltante anche in caso di sopravvenuto fallimento dell’appaltatore, con la conseguenza che il soddisfacimento del subappaltatore si pone quale momento imprescindibile, in quanto consente all’appaltatore fallito di ottenere dalla stazione appaltante il pagamento del proprio credito. In questa prospettiva, la prededuzione è lo strumento che consente il soddisfacimento del credito del subappaltatore nei confronti dell’appaltatore fallito (senza dover attendere le operazioni di riparto in senso tecnico), in correlazione con l’interesse della massa a quel pagamento, utile e necessario per il conseguimento dello scopo della procedura.
Il suddetto orientamento è stato precisato dalla giurisprudenza successiva che l’ammissione del credito del subappaltatore al passivo fallimentare in prededuzione potrà trovare riscontro solo se e in quanto esso comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro ed indubbio vantaggio conseguente al pagamento del committente, il quale subordini il suo pagamento di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito, ai sensi dell’art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006; si è aggiunto che, se sussiste effettivamente, in concreto, il beneficio per la massa dei creditori, la curatela non potrebbe che convergere con il creditore istante nel riconoscimento della sua posizione di vantaggio, al fine di estinguerlo proprio per fruire dei maggiori introiti a beneficio della massa creditoria.
Il contrasto si è manifestato nella successiva giurisprudenza, secondo la quale, in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 111, comma 2, legge fall.; invero, il meccanismo ex art. 118, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 riguardante la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi, alla luce della successiva evoluzione della normativa di settore, calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto in corso con un’impresa in bonis, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore, quale contraente “debole”, sicché detto meccanismo non ha ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie.
Si deve, peraltro, rilevare che le ragioni di tutela dei crediti dei subappaltatori non possono di per sé giustificare deroghe, in via giurisprudenziale, al principio della par condicio, restando il subappaltatore che abbia adempiuto le sue prestazioni in favore del debitore in bonis pur sempre un creditore concorsuale come gli altri, «salve le cause legittime di prelazione» (art. 2741 c.c.) che spetta al legislatore introdurre e disciplinare secondo l’ordine previsto dagli artt. 2777 ss. c.c., se non si vuole introdurre disparità di trattamento tra i subappaltatori di opere pubbliche e quelli di opere private, pur essi costituiti da piccole e medie imprese.
Del resto, nel contesto normativo attuale la tutela del subappaltatore è realizzata mediante il pagamento diretto da parte della stazione appaltante (art. 71, terzo comma, della direttiva 2014/24/UE), alle condizioni previste dalla legge (art. 105 del codice del 2016), e non mediante il meccanismo, contemplato nell’art. 118 del codice del 2006, della sospensione del pagamento successivo in favore dell’appaltatore che non trasmetta le fatture quietanzate del subappaltatore nel termine di legge.
E’ certo che la prededuzione è predicabile, in astratto, solo nel caso in cui la stazione appaltante sia in condizione di esercitare in concreto il suddetto potere di sospendere i pagamenti con effetto incondizionato, poiché se il suddetto potere non venisse esercitato oppure non fosse suscettibile di produrre in concreto effetti paralizzanti nei confronti dell’appaltatore, non vi sarebbe ragione di favorire il pagamento del credito del subappaltatore che non recherebbe alcun vantaggio alla massa fallimentare. Ciò induce a chiedersi se, a seguito del fallimento dell’appaltatore, la stazione appaltante possa esercitare il suddetto potere e continuare ad opporre la sospensione del pagamento all’appaltatore fallito e, dunque, al curatore e, di conseguenza, se il curatore sia legittimato ad agire nei confronti della stazione appaltante per pretendere il pagamento dovuto. La sospensione del pagamento, in quanto prevista dalla legge (art. 118, terzo comma, codice del 2006), si traduce in concreto in una eccezione di inadempimento che la stazione appaltante è legittimata ad opporre all’appaltatore (inadempiente all’obbligo di dimostrare il pagamento al subappaltatore). La proponibilità della suddetta eccezione postula, tuttavia, che il rapporto contrattuale sia in corso, poiché è solo nella fase esecutiva del rapporto in essere che è consentito alle parti far valere reciprocamente adempimenti e inadempimenti contrattuali. A seguito del fallimento che rende il contratto di appalto, anche di opera pubblica, inefficace «ex nunc» e, dunque, non più eseguibile (arg. ex art. 72, primo comma, legge fall.), al curatore spetta il corrispettivo dovuto per le prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento; la stazione appaltante può rifiutare il pagamento delle opere ineseguite o eseguite non a regola d’arte, ma non può invocare la disciplina prevista dall’art. 1460 c.c., in tema di eccezione di inadempimento, la quale, implicando la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, presuppone un contratto non ancora sciolto e quindi eseguibile.
L’eccezione d’inadempimento, che consente la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, in presenza di inadempimento della controparte, configura uno strumento accordato alla parte che voglia salvaguardare i propri interessi, nella prospettiva della esecuzione (e, dunque, conservazione) del contratto, alla quale l’eccezione serve appunto di stimolo.
Una volta che il contratto si sia sciolto, per qualsiasi causa e, quindi, anche per il fallimento, l’art. 1460 c.c. non può essere invocato e trovano, invece, applicazione le norme che disciplinano gli effetti dello scioglimento.
Il curatore, che ha «l’amministrazione del patrimonio fallimentare» (art. 31 legge fall.), ha l’onere imprescindibile di attivare ogni iniziativa utile alla procedura diretta al recupero dell’attivo fallimentare, e quindi anche del corrispettivo del contratto di appalto, al fine di soddisfare la massa dei creditori nel miglior modo possibile.
E qualora si ipotizzasse, in senso contrario, che la stazione appaltante sia legittimata ad opporre al curatore (che agisca in giudizio per ottenere il pagamento di quanto dovuto) le eccezioni che avrebbe potuto opporre all’appaltatore fallito, compresa quella di sospensione del pagamento, risulterebbe confermato che, nel caso di fallimento, la sospensione non potrebbe operare incondizionatamente, ma dovrebbe assumere le vesti di una eccezione (di inadempimento) comunque rimessa a una valutazione giudiziale che tenga conto anche delle contestazioni dell’appaltatore circa la regolarità dei lavori eseguiti dal subappaltatore. E ciò diversamente da quanto accade nel caso in cui l’appaltatore sia in bonis, quando la sospensione costituisce oggetto di un potere unilaterale del committente.
In conclusione, il ricorso è infondato e quindi rigettato, alla luce del principio secondo cui, in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il meccanismo delineato dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 – che consente alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore – deve ritenersi riferito all’ipotesi in cui il rapporto di appalto sia in corso con un’impresa in bonis e, dunque, non è applicabile nel caso in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto si scioglie; ne consegue che al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto e che il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione.
Esito del ricorso
Rigetto
Riferimenti normativi
- fall, art. 111
D.lgs. 12.4.2006, n. 163, art. 118, comma 3.
Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza 2 marzo 2020, n. 5685