Condominio Imissioni di fumi e gas nel cortile condominiale,il punto

Condominio Imissioni di fumi e gas nel cortile condominiale,il punto

Condominio: Imissioni di fumi e gas nel cortile condominiale,il punto

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 20 novembre 2019, ha ordinato al conduttore di un’unità immobiliare compresa in un condominio ed adibita a ristorante, la cessazione delle immissioni di fumi, vapori ed odori nel cortile condominiale.

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 20 novembre 2019, ha accolto la domanda di manutenzione nel possesso di un cortile condominiale proposta dall’amministratore avverso la conduttrice di un’unità immobiliare compresa nell’edificio, domanda fondata sulle immissioni di fumi e gas promananti dai locali in godimento della convenuta e riconducibili all’attività di ristorazione per cibi da asporto esercitata da quest’ultima. Tali immissioni risultavano derivanti altresì da una canna fumaria che scaricava nel cortile, il tutto anche in violazione di specifica prescrizione del regolamento di condominio, come del resto constatato in due assemblee condominiali.

Il Tribunale, in motivazione, ha altresì verificato la sussistenza della legittimazione attiva dell’amministratore e della legittimazione passiva della conduttrice.

E’ consolidata l’interpretazione giurisprudenziale secondo cui l’azione di manutenzione ex art. 1170 c.c. è esperibile anche a difesa del possesso da attentati rapportabili ad immissioni, ovvero, come nel caso in esame, nei confronti delle immissioni di fumi, vapori ed odori provenienti da un ristorante e da una canna fumaria (Cass. 30 maggio 2005, n. 11382; Cass. 10 settembre 1997, n. 8829).

In materia di tutela dalle immissioni, sono ipotizzabili due distinte azioni, una fondata sull’art. 844 c.c., l’altra derivante dall’art. 2043 c.c. Le due azioni hanno diverso ambito operativo, atteso che la prima norma impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, l’obbligo di sopportazione delle propagazioni inevitabili determinate dall’uso della proprietà attuato nel contesto delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Ove risultino superati tali limiti, si è in presenza di un’attività illegittima, di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio all’altrui diritto di proprietà o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri da tale norma dettati. Vengono, piuttosto, in considerazione unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, e si rientra, così, nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’art. 2043 c.c., che può essere proposta anche cumulativamente con l’azione ex art. 844 c.c.

La seconda azione, fondata sull’art. 2043 c.c., ha natura personale, essendo volta a risarcire il proprietario del fondo vicino dei danni arrecatigli dalle immissioni, sotto tale profilo considerato come fatto illecito.

Allorquando oggetto della lite siano immissioni derivanti da abuso di una parte comune dell’edificio condominiale ad opera di uno dei condomini, deve riconoscersi all’amministratore il potere di agire in giudizio, ex art. 1130, n. 4, c.c., al fine di costringere il condomino inadempiente alla osservanza dei limiti fissati dalla legge, anche se il dedotto abuso della cosa comune si risolva in un pregiudizio limitato a uno o ad alcuni soltanto dei partecipanti. In tale ipotesi, l’interesse, di cui l’amministratore domanda la tutela, è un interesse comune, in quanto riguarda la disciplina dello uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti.

Diverso è il caso in cui le immissioni che provochino il nocumento di uno o di alcuni soltanto dei condomini derivano da atti di godimento che uno dei partecipanti faccia delle cose di sua proprietà esclusiva: in questa ipotesi, viene leso l’interesse di un singolo e non viene in considerazione la disciplina dell’uso delle cose comuni, per cui solo il proprietario danneggiato può agire per far cessare il godimento illegittimo. Ai fini dell’accertamento delle facoltà giudiziale dell’amministratore, quel che è decisivo è, dunque, che l’atto, della cui legittimità si controverte, incida, o non, sull’uso o sul godimento delle parti comuni, e non già il numero dei condomini cui sia arrecato pregiudizio con l’atto stesso.

Così, ad avviso di Cass. 10 maggio 2004, n. 8852, l’inserimento di una canna fumaria all’interno del muro comune – costituente anche muro di delimitazione della proprietà individuale – ad esclusivo servizio del proprio immobile, non può considerarsi utilizzazione in termini di mero “appoggio” della stessa al muro comune, secondo quello che, a determinate condizioni, può costituire uso consentito del bene comune ai sensi della norma in questione, stante il suo peculiare carattere di invasività della proprietà altrui (qual è anche quella non esclusiva bensì comune), anche sotto i meri profili delle immissioni di calore e della limitazione rispetto ad altre possibili e diverse utilizzazioni della cosa che ne derivano.

Il potere dovere di “compiere atti conservativi”, riconosciuto all’amministratore di condominio ex artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di chiedere non soltanto le necessarie misure cautelari (avuto riguardo a tutti gli atti diretti a conservare l’esistenza delle parti comuni), ma anche il risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni, e risulti consequenziale all’impedimento frapposto alla tempestiva esecuzione di quanto legittimamente richiesto Pertanto, rientra nel novero degli atti conservativi di cui al citato art. 1130 n. 4 c.c. l’azione di cui all’art. 844 c.c. intesa a rimuovere le cause delle immissioni, nel caso in cui queste riguardino l’intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in un’ ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto.

L’azione di risarcimento nei confronti dell’autore delle immissioni per i danni che ne sono derivati alle parti comuni può essere, quindi, promossa pure da ciascuno dei condomini, legittimati in proprio ad agire.

Anche la domanda di indennizzo per il diminuito valore dell’edificio condominiale a causa delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità, di natura reale, rientra nella legittimazione attiva dell’amministratore condominio, senza necessità di preventiva autorizzazione assembleare.

Non spetta, viceversa, all’amministratore il promovimento di un’azione risarcitoria per il danno alla salute sofferto dai singoli condomini o dagli altri abitanti dell’edificio (si veda Cass. 6 aprile 1983, n. 2396, in tema di inibizione dell’esercizio della centrale termica condominiale richiesta dall’occupante di un appartamento di un edificio in condominio, adducendo che la rumorosità dell’impianto recava nocumento alla sua salute).

La disposizione dell’art. 844 c.c. è certamente applicabile anche negli edifici in condominio nell’ipotesi in cui un condomino nel godimento della propria unità immobiliare o della parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini. Nell’applicazione della norma deve aversi riguardo, tuttavia, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari, privilegiando le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all’esercizio di attività commerciali (Cass. 15 marzo 1993, n. 3090).

Sono legittime le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio di fonte contrattuale, che impongano limitazioni al godimento degli immobili di proprietà esclusiva secondo criteri anche più rigorosi di quelli stabiliti, in tema di immissioni lecite, dall’art. 844 c.c., In tal caso la liceità o meno dell’immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento (Cass. 7 gennaio 2004, n. 23).

Quando l’attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio, direttamente o tramite un conduttore o un comodatario, è idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre, pertanto, nemmeno accertare, al fine di ritenere l’attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c. (Cass. 4 aprile 2001, n. 4963).

L’amministratore di condominio, essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento di condominio (art. 1130, primo comma, n. 1, c.c.), è certamente legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività causa di immissioni vietate dal regolamento condominiale, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 2, c.c., la quale, com’è noto, è richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell’amministratore stesso.

Quanto alla legittimazione passiva, l’azione ex art. 844 può essere esperita anche nei confronti dell’autore materiale delle immissioni, che non sia proprietario dell’immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del conduttore, quando allo stesso debba essere imposto un facere o un non facere, suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego, o quanto l’attore chieda semplicemente la cessazione delle immissioni. L’azione va — invece — proposta nei confronti del proprietario se mira al conseguimento di un effetto reale, come avviene quando è volta a far accertare in via definitiva l’illegittimità delle immissioni o ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare.

Se, peraltro, l’attore chieda la cessazione di immissioni moleste provenienti da un bene o da un impianto sito nell’edificio in condominio e il giudice disponga l’esecuzione delle opere necessarie per l’eliminazione delle denunciate immissioni, deve esser disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti quei condomini, le cui proprietà individuali riceverebbero pregiudizio dall’esecuzione delle opere stesse (cfr. Cass. 6 marzo 1978, n. 1108, concernente l’esecuzione di opere idonee ad eliminare le immissioni stesse, in relazione alla costruzione di canna fumaria lungo la parete esterna dell’edificio).

Riferimenti normativi:

Art. 1130, comma 1, n. 1, c.c.

Art. 1130, n. 4, c.c.

Art. 1136, comma 2 , c.c.

Art. 844 c.c.

Art. 2043 c.c.

Art. 1131 c.c.

Tribunale di Milano, ordinanza 20 novembre 2019

 

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