Condominio:uso esclusivo delle parti comuni,diritto reale o di godimento?

Condominio:uso esclusivo delle parti comuni,diritto reale o di godimento?

Condominio:uso esclusivo delle parti comuni,diritto reale o di godimento?
Non è stata ancora chiarita la natura del diritto d’uso esclusivo che viene riservato ad un condomino sulle parti comuni, di quel diritto cioè riconosciuto al momento della costituzione del condominio in favore di un’unità immobiliare di proprietà individuale che preclude ad altri di servirsi del bene comune e di trarne tutte le utilità compatibili con la sua destinazione economica. L’ostacolo ancora da superare consiste proprio nel conciliare la natura reale del diritto d’uso con la sua trasferibilità o meno in uno con l’unità immobiliare a cui è funzionalmente collegato. La difformità di pronunce e l’importanza pratica della questione ha reso opportuno rimettere la decisione alle Sezioni Unite della Cassazione. È quanto si legge nell’ordinanza n. 31420 del 2 dicembre 2019 della Cassazione.
L’uso delle parti comuni è riservata per legge a tutti i condomini con pari modalità, nella proporzione tra il valore della loro unità immobiliare e il valore dell’intero edificio. A prescindere dall’estensione del loro diritto, a norma dell’art. 1102 c.c., il singolo partecipante alla comunione può usare la cosa comune secondo le proprie convenienze e nella sua interezza, indipendentemente dal fatto che siano titolari di una quota maggiore o minore della comproprietà ragguagliata al valore dell’appartamento di pertinenza
Ciascuno dei condomini può servirsene anche in modo particolare, senza però alterarne la destinazione e senza impedire agli altri partecipanti al condominio di farne parimenti uso.
L’uso più intenso non può però giungere sino al punto di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell’orbita della disponibilità esclusiva del singolo partecipante al condominio , sottraendola in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, in quanto il diritto di ciascuno nei limiti della quota si estende su tutta la cosa.
Solo uno specifico accordo concluso da tutti i condomini al momento della costituzione del condominio , ovvero potenzialmente intervenuto successivamente, può riservare infatti ad un condomino l’uso esclusivo della cosa comune o di una porzione di essa.
Sulla natura dell’uso esclusivo concesso al singolo condomino del bene comune si erano già espressi i giudici di legittimità esprimendo pareri tra loro difformi, al punto da indurli ora, con ordinanza interlocutoria n. 31420 del 2 dicembre 2019 ( Sez. II civ,Giudice relatore Dott. Scarpa) a rimettere la questione alle Sezioni Unite della Suprema Corte affinché chiariscano se il diritto di uso esclusivo su parti comuni dell’edificio condominiale possa ricondursi al vincolo reale di cui all’art. 1021 c.c., come tale non trasferibile ex art. 1024 c.c., oppure configurarsi piuttosto come particolare applicazione dell’uso su di esse di cui agli artt. 1102 e 1122 c.c.
Il tutto ha trovato origine dalla domanda di ripristino avanzata da due condomini nei confronti di altri due, colpevoli, a giudizio dei primi, di avere illegittimamente realizzato su una porzione di cortile comune un manufatto, circostanza invece contestata dai secondi, che sostenevano invece di vantare sulla predetta porzione un diritto di uso esclusivo derivante sia dal titolo intercorso con il loro dante causa e sia dall’atto costitutivo del condominio a seguito di avvenuta divisione dell’edificio tra gli originari comproprietari.
La domanda era stata totalmente respinta in primo grado, dove aveva trovato pieno riconoscimento l’acquisto da parte dei convenuti del diritto d’uso esclusivo sull’area in questione e dunque – e comunque – la legittimità dell’utilizzo da loro fatto del bene comune anche ai sensi dell’art. 1102 c.c.
La Corte d’Appello, avanti a cui avevano proposto gravame in via principale i soccombenti ed in via incidentale, invece, i convenuti, aveva evidenziato, per quanto qui occorre, come gli originari comproprietari dell’intero compendio condominiale, nel’includere tra le parti comuni anche il terreno circostante il fabbricato (comprendente anche la porzione in contestazione), si erano preoccupati, però, di fare salvi gli usi esclusivi delle porzioni di esso antistanti alcune proprietà, tra cui quella degli appellati principali, intendendo in tal modo sottrarre tali aree dalle parti comuni. Evidenziava inoltre che l’uso esclusivo a cui si riferivano i contratti di compravendita non doveva configurarsi come il diritto d’uso di cui all’art. 1021 c.c., con il quale nulla aveva a che vedere, bensì come quell’uso delle parti condominiali disciplinato dagli artt. 1102 e 1122 c.c. Quand’anche si fosse ammessa la natura condominiale della porzione di cortile in discussione, il suo utilizzo, benché preclusivo di analoga possibilità di godimento da parte degli altri condomini, doveva in ogni caso ritenersi legittimo perché deciso e accettato da tutti i condomini sin dal momento della costituzione del condominio .
Ricorrevano in Cassazione gli originari attori lamentando, tra l’altro, l’errata configurazione che i giudici di secondo grado avevano fornito del diritto d’uso esclusivo di una porzione di cortile (antistante l’unità immobiliare poi assegnatale) concesso alla dante causa dei resistenti in sede di scioglimento della comunione, essendo stato costituito in loro favore, in tal modo, un diritto reale d’uso ai sensi dell’art. 1021 c.c., come tale inalienabile ex art. 1024 c.c.. Da qui la nullità della cessione del relativo diritto prevista invece nell’atto di compravendita successivamente intervenuto.
Tale motivo di ricorso, unitamente ai primi tre proposti ( errata attribuzione dell’uso esclusivo all’area antistante la proprietà dei convenuti, errato richiamo, nella motivazione della sentenza, dell’art. 1122 c.c. in quanto non applicabile ratione temporis, violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c.) ha dato spunto ai giudici di legittimità aditi di esamina la questione della natura giuridica del diritto d’uso esclusivo a cui spesso si accenna in tema condominiale, questione di massima importanza ai fini della trasferibilità del diritto stesso e decisa, al momento, in modo difforme dalle varie sezioni semplici.
Sul punto, infatti, si era avuto modo di affermare (Cass. n. 24301/2017) che la riserva inerente il diritto esclusivo concesso ad un condomino on riguarda la persona, ma l’unità immobiliare di proprietà del condomino, sulla quale viene a costituirsi un diritto reale e non un semplice rapporto pertinenziale. Il riferimento al concetto di pertinenza, infatti, viene usato in senso atecnico, volendo con tale termine indicare solamente la maggiore utilità che una proprietà esclusiva può trarre da un bene comune in uso esclusivo. Tale rapporto pertinenziale finirebbe peraltro per incidere direttamente sulla consistenza della frazione di proprietà esclusiva, creando a monte un titolo contrario alla presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. (Cass. n. 6892/1992).
L’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di singole unita immobiliari, al fine di garantirne il migliore godimento, non ha natura reale e non incide sull’appartenenza di tali porzioni alla collettività ma soltanto sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini.
E ciò avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ai sensi degli artt. 1102 e 1117 c.c. Si tratta, quindi, di un diritto non riconducibile a diritto reale d’uso sancito dall’articolo 1021 del Codice civile. Esso, oltre a non mutuarne le modalità di estinzione, è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unita immobiliare cui accede. In quanto teso a garantirne il migliore godimento, non incide sull’appartenenza delle parti comuni alla collettività ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento (Cass. n. 24958/2018): l’uso esclusivo condominiale è piuttosto una manifestazione del diritto del condomino sulle parti comuni
Sembra anche doversi escludere che il diritto di uso esclusivo del bene condominiale possa assimilarsi ad una servitù prediale, vuoi perché il condomino, quando si serve della cosa comune anche per un fine esclusivamente proprio per trarne ogni possibile utilità, lo fa nell’esercizio del suo diritto di condomino e non già in forza di una servitù (Cass. n. 6458/2019) e vuoi perché la servitù, pur imponendo un sacrificio al fondo servente, non può spingersi sino ad escludere la facoltà di godimento del fondo servente stesso, impedendo ai suoi comproprietari di farne godimento.
L’ordinanza interlocutoria in commento sottolinea come la diffusa opinione di escludere una qualificazione del diritto d’uso esclusivo di parti comuni condominiali da quella indicata dall’art. 1021 c.c. solo perché le parti, nella realtà, non vogliono sottostare alla rigorosa disciplina dettata in genere per il diritto reale d’uso in tema di trasferibilità e di durata, si scontra invero con il tradizionale principio del numero chiuso dei diritti reali , che, ispirandosi ad una esigenza di ordine pubblico, riserva al solo legislatore la facoltà di dare vita a nuovi tipi reali normativi.
Quand’anche si ritenga che la facoltà di servirsi della cosa prevista dall’art. 1021 c.c. non sia solo destinata a soddisfare esigenze personali dell’usuario, ma che si estenda a tutte le utilità che la cosa può fornire ( limitando ai bisogni dell’usuario e della sua famiglia la sola raccolta dei frutti)
e dunque a configurare il diritto d’uso esclusivo di bene condominiale come rientrante nell’art. 1021 c.c., non si riesce comunque a superare l’ostacolo rappresentato dal divieto di alienazione dello stesso previsto dall’art. 1024 c.c,. Non va dimenticato, aggiunge l’ordinanza, che “la potenziale estensione delle facoltà dell’usario a tutte le possibilità di uso diretto della cosa comune è connotato distintivo del diritto reale d’uso”, talché l’esclusione di talune di tali facoltà e l’attribuzione al beneficiario di una utilità invece speciale estranea alla destinazione fondamentale della cosa, significa dare vita semmai ad un mero rapporto obbligatorio, stante la tipicità dei diritti reali. In tal caso però, configurando il diritto d’uso sul bene condominiale come diritto personale di godimento, concludono i supremi giudici di legittimità, ci si scontra inevitabilmente con la regola della relatività degli effetti del contratto prevista dall’art. 1372 c.c. e dunque con l’impossibilità di trasferire a terzi, se non con i mezzi offerti dalla legge (artt. 1268, 1272 e 1273 c.c.), le obbligazioni contrattualmente assunte.
La questione appare dunque ancora conformemente irrisolta: da qui la richiesta di eventuale sua assegnazione alle Sezioni Unite affinché ne dia uniforme. Con buona pace dei notai incaricati della vendita del diritto d’uso esclusivo sui beni condominiali comuni.
Cassazione civile sez. II, ordinanza 2 dicembre 2019, n. 31420

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