Danni a terzi: il committente può rispondere in solido con l’appaltatore
La regola per la quale risponde il solo appaltatore ove abbia operato in autonomia con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, o il solo committente, nel caso in cui si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di “nudus minister”, certamente vale nei rapporti contrattuali interni tra committente e appaltatore, ma non vale per altre ipotesi intermedie, per le quali possono rispondere, solidalmente, tutti i soggetti che abbiano contribuito, a diverso titolo, a cagionare un danno a un terzo, qualora la loro ingerenza nei lavori appaltati si sia manifestata attraverso atti o direttive che abbiano soltanto ridotto l’autonomia dell’appaltatore. E’ quanto si legge nell’ordinanza della Cassazione del 29 ottobre 2019, n. 27612.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI:
Conformi: Cass. civ. sez. II, 12 maggio 2003, n. 7273
Cass. civ. sez. III, 20 aprile 2004, n. 7499
Cass. civ. sez. III, 21 giugno 2004, n. 11478
Cass. civ. sez. III, 1 giugno 2006, n. 13131
Cass. civ. sez. III, 30 settembre 2008, n. 24320
Difformi: Non si rinvengono precedenti
G.P., locatario di un immobile adibito a cinema, terzo chiamato in causa dal proprietario O.O., impugna la sentenza della Corte d’appello, con la quale venivano rigettati gli appelli principali e incidentali avverso le sentenze definitiva e non definitiva pronunciate in un giudizio instaurato da R.S. per vedere riconosciuto il diritto ad essere risarcita dei danni subiti alla propria proprietà immobiliare in conseguenza di lavori di ristrutturazione eseguiti sull’ immobile ad uso commerciale e adibito a cinema, adiacente al proprio, di proprietà di O.O., locato a G.P., con appalto eseguito dall’impresa T., da quest’ultimo incaricato su assenso del proprietario dell’immobile.
Il danno si era verificato perché i lavori di ristrutturazione in corso di esecuzione, commissionati dal conduttore dell’immobile avevano determinato lesioni alla struttura portante che si riverberavano sull’edificio di proprietà.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso principale, ha osservato il conduttore, previa autorizzazione del proprietario, ha incaricato l’impresa appaltatrice a eseguire lavori secondo le necessità stabilite nel negozio di locazione.
In relazione alla sussistenza di un concorso di titoli di responsabilità del committente ex artt. 2043, 2049 e 2051 c.c. del proprietario ex artt. 2043 e 2051 cod. civ. e dell’appaltatore, in via tra loro solidale, verso il terzo danneggiato, i principi applicati sono corretti perché la responsabilità del committente non si ravvisa solo qualora quest’ultimo abbia impartito direttive all’appaltatore, determinando il suo operare quale nudus minister, unica ipotesi in cui si esclude la responsabilità contrattuale dell’appaltatore, poiché verso i terzi danneggiati, estranei al contatto di appalto, prevale il principio del neminem laedere di cui sono espressione anche i doveri del custode e del preponente, ex artt. 2051 e 2049 cod. civ., e ciò a prescindere da qualsiasi ripartizione interna di responsabilità tra committente e appaltatore.
Vero è che in materia di appalto, l’appaltatore esplica l’attività che conduce al compimento dell’opus perfectum in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato. Ciò, in linea di principio, non solo esclude la configurabilità di un rapporto institorio tra committente ed appaltatore, ma implica anche che solo l’appaltatore debba, di regola, ritenersi responsabile dei danni derivati e terzi nella (o dalla) esecuzione dell’opera.
Il principio connesso alla struttura del contratto di appalto comporta, tuttavia, correttivi sia quando si ravvisino a carico del committente specifiche violazioni del principio del neminem laedere riconducibili all’art. 2043 c.c. (e tale potrebbe essere il tralasciare del tutto ogni sorveglianza nella fase esecutiva nell’esercizio del potere di cui all’art. 1662 cod. civ.), sia quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata l’opera affidata ad impresa che palesemente difetta delle necessarie capacità tecniche ed organizzative per eseguirla correttamente, sia quando l’appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questo, sia, infine, quando il committente si sia, di fatto, ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell’appalto. In tutti questi casi il committente potrà essere tenuto come responsabile, in via diretta, con l’appaltatore per i danni cagionati al terzo
In sintesi, la regola per la quale risponde il solo appaltatore ove abbia operato in autonomia con propria organizzazione e apprestando i mezzi a ciò necessari, o il solo committente, nel caso in cui si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di “nudus minister”, certamente vale nei rapporti contrattuali interni tra committente e appaltatore, ma non vale per altre ipotesi intermedie, per le quali possono rispondere, solidalmente, tutti i soggetti che abbiano contribuito, a diverso titolo, a cagionare un danno a un terzo, qualora la loro ingerenza nei lavori appaltati si sia manifestata attraverso atti o direttive che abbiano soltanto ridotto l’autonomia dell’appaltatore, sino a potere trovare applicazione anche nei rapporti interni tra le parti del contratto di appalto, nell’ipotesi in cui una di esse, sussistendo una responsabilità (esclusiva o concorrente) dell’altra, agisca in rivalsa (cfr. Cass. sez. III, ordinanza n. 11194 del 24 aprile 2019: nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da critiche la sentenza che, in sede di rivalsa azionata dal committente nei confronti dell’appaltatore, aveva riscontrato, conformemente all’art. 1227, comma 2, c.c., una corresponsabilità del committente per aver condiviso la scelta operativa di demolire i muri perimetrali della struttura). Ed invero, la responsabilità per avere minato la stabilità delle strutture portanti dell’immobile locato e per aver cagionato danni a terzi, non può essere ricondotta al solo appaltatore che, per specifiche competenze, è in grado di comprendere i rischi conseguenti agli interventi edili , ma può essere ricondotta anche al committente in ragione della scelta operata sia dell’opera che dell’appaltatore. La medesima logica si rinviene, in maniera ancora più evidente, nella statuizione giurisprudenziale in base alla quale la clausola di un contratto di appalto che preveda a totale ed esclusivo carico dell’appaltatore i danni che i terzi dovessero subire dall’esecuzione delle opere, lasciando indenne il committente, non può essere invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori, atteso che tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull’efficacia del contratto fissati dall’art 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l’una, anziché verso l’altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall’esecuzione del contratto (Cass. sez. II, sentenza 17 febbraio 2012, n. 2363; Cass. sez. Unite, 14 ottobre 1980, n. 5496).
Esito del ricorso
Rigetto
Riferimenti normativi
Art. 1662 c.c.
Art. 2043 c.c.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 29 ottobre 2019, n. 27612