La rovina di edificio, cioè l’ipotesi di caduta di calcinacci e mattoni è fonte di responsabilità del proprietario o di tutti i condomini nei confronti di terzi.
Ai sensi dell’art. 2053 c.c. sul proprietario dell’immobile gravano tutti i rischi di danni provocati a terzi dalla rovina dell’immobile salvo che questi riesca a provare che la caduta non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.
Per rovina deve intendersi ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati, sicché il proprietario dell’edificio può andare esente da detta responsabilità solo fornendo la prova che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione[Trib. Civitavecchia 05/01/2023, n. 1].
Si tratta, nella prevalente interpretazione[Corte di Cass. Civ. 26/05/2020, n. 9694], di una forma di responsabilità oggettiva speciale rispetto a quella prevista dall’art. 2051 c.c. e cioè la fattispecie di danno da cose in custodia, fondata sulla sussistenza di una situazione di diritto. Qualora la parte di bene in rovina sia di proprietà condominiale [Trib. Lanciano 02/12/2021, n. 356].
Fatti salvi i profili di responsabilità penale derivanti dalla posizione di garanzia rivestita l’amministratore professionista, allorquando assume l’incarico da un condominio, deve esaminare bene lo stato del fabbricato e, laddove questo sia in “pericolo di rovina”, occorre che si chieda come procedere alla relativa messa in sicurezza e, in seguito, alla riduzione in pristino stato. L’obbligo dell’amministratore di attivarsi onde eliminare la riferita situazione di pericolo non può ritenersi subordinato alla preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale, trovando esso fondamento in appositi addentellati normativi.
Difatti, richiamando quando precisato dall’art. 1130, Codice civile, comma 1, n. 4, grava sull’amministratore il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti.
Quanto alla prova liberatoria invocabile dal proprietario, essa viene ricondotta al caso fortuito in senso ampio e consiste nella dimostrazione che la rovina dell’edificio è stata provocata da un fattorecausale autonomo ed assorbente, diverso dal difetto di manutenzione e dal vizio dicostruzione e del tutto estraneo alla condotta del proprietario, sul quale finiscono per gravare,pertanto, anche le cause ignote.
Se è più facile fornire la prova liberatoria indicando il fatto di un terzo, difficilmente va esente da responsabilità il proprietario che come esimenteinvochi, per esempio, l’incolpevole ignoranza del difetto della costruzione [Cass. 18 ottobre1956, n. 3713; Cass. 15 luglio 1958, n. 2584; Cass. 7 luglio 1960, n. 1795], l’assoluta mancanzadi sintomi premonitori della rovina [Cass. 27 aprile 1955, n. 1156; Cass. 9 agosto 1961, n.1941], la vetustà dell’edificio [Cass. 14 ottobre 1961, n. 2157] o gli eventi bellici che neabbiano compromesso la stabilità [Cass. 7 giugno 1954, n. 1846].
Con riguardo alle condizionimeteorologiche, i giudici hanno invece offerto soluzioni piuttosto contrastanti, anche sesembrerebbe possibile affermare che, quantomeno in linea di principio, il carattere esimenteviene negato al vento impetuoso e riconosciuto ai nubifragi e ai cicloni; in una significativapronuncia, la Cassazione ha poi escluso la responsabilità del gestore di una funivia per i danniderivanti dal crollo di un edificio, adiacente alla stazione di partenza, che era stato travolto dauna valanga di neve di proporzioni eccezionali, determinata dalla concomitanza di tre fattori,ciascuno dei quali di per sé insolito, quali un abnorme accumulo di neve, la bassa temperaturadella stessa e la presenza di venti fortissimi [Cass. 14 ottobre 2005, n. 19974].
Avv. TOMMASO GASPARRO
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