È diffamazione aggravata scrivere su Facebook che l’amministratore è un “truffatore seriale”

È diffamazione aggravata scrivere su Facebook che l’amministratore è un “truffatore seriale”

È diffamazione aggravata scrivere su Facebook che l’amministratore è un “truffatore seriale”

La pubblicazione sul proprio profilo facebook delle pagine di una querela sporta nei confronti di un amministratore di condominio, accompagnata dalla frase “visto che la magistratura temporeggia, state attenti a questo truffatore seriale”, integra gli estremi della diffamazione aggravata da altro mezzo di pubblicità ex art. 595 comma 3 c.p. Così ha deciso la Corte di Appello di Napoli con la sentenza del 16 gennaio 2019

Il fatto da cui scaturisce la decisione in esame riguarda la pubblicazione, sul profilo facebook dell’appellante, di un album fotografico intitolato “truffatore seriale” contenente le pagine di una denuncia-querela sporta da alcuni condomini nei confronti di un amministratore di condominio e avente come sottotitolo la frase “visto che la magistratura temporeggia, state attenti a questo truffatore seriale”.

Per tale pubblicazione, l’autore veniva riconosciuto responsabile di diffamazione (aggravata ex art. 595 comma 3 c.p.) e condannato dal Tribunale civile di Napoli (adito ex art. 702 bis c.p.c.) a risarcire all’amministratore B. la somma di euro 10.000, a titolo di danno non patrimoniale per la sofferenza subita. Con atto d’appello, a sostegno della legittimità della pubblicazione (verosimilmente sotto il profilo del diritto di cronaca/critica), l’autore della pubblicazione deduceva la verità di quanto pubblicato (quanto meno sotto il profilo putativo), richiamandosi alla pendenza di un procedimento penale a carico dell’amministratore per appropriazione indebita, come confermato dalla notifica allo stesso dell’avviso di conclusione indagini preliminari, ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p.

La Corte d’Appello rigetta l’impugnazione dell’autore della pubblicazione, ritenendo il motivo del tutto infondato. In particolare, la Corte, dopo aver premesso che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso una bacheca facebook integra pacificamente “un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma 3 c.p. poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”, affronta la questione a nostro avviso più interessante: se sia sufficiente (o meno) la pendenza di un procedimento penale per invocare la verità di quanto asserito (come sostenuto dall’appellante).

Ebbene. La Corte d’Appello risponde negativamente al quesito, precisando che “la sola presentazione della querela a carico di B., da parte di alcuni condomini di un fabbricato dal medesimo amministrato, non prova in alcun modo la verità oggettiva dei fatti in essa riportati, integrando la stessa una semplice prospettazione difensiva, che avrebbe dovuto essere sottoposta, per poter sfociare in un giudizio di colpevolezza, al vaglio di un procedimento penale da svolgersi in contraddittorio con l’imputato”. Sul punto, la Corte precisa, inoltre, che anche l’avviso di conclusione indagini preliminari (peraltro non prodotto in atti) non può in ogni caso rivestire la valenza probatoria di una sentenza di condanna.

Pur in assenza di un espresso richiamo al diritto dell’imputato di essere considerato innocente fino alla sentenza definitiva di condanna (ai sensi dell’art. 27, comma 2, Cost.), sembra di poter dire che la Corte – nel contemperamento tra diritto di cronaca e diritto all’onore – abbia posto la presunzione di non colpevolezza a fondamento della propria decisione. Tale soluzione, del tutto condivisibile, è in linea con le decisioni della Corte di cassazione in tema di verità del fatto laddove penda un procedimento penale. In più occasioni, infatti, i Giudici di legittimità – con particolare riguardo alla cronaca giudiziaria – hanno avuto modo di evidenziare che la presunzione di non colpevolezza impedisce di considerare veri i fatti oggetto di accertamento in un procedimento penale (proprio con riferimento ad un’ipotesi di notifica di avviso di conclusione indagini, cfr. Cass. Pen. 17.12.2010, CED 250203).

Peraltro, nel caso di specie, la Corte d’Appello non solo ritiene insussistente il requisito di verità (anche sotto il profilo putativo, per mancanza di prova in tal senso), ma ritiene che difettino anche gli altri due requisiti necessari ai fini dell’invocabilità dell’esercizio di un diritto: vale a dire, la continenza delle espressioni utilizzate e l’interesse pubblico alla notizia.

Quanto al primo aspetto, la Corte ritiene che le espressioni utilizzate siano “volutamente denigratorie della persona dell’odierno appellato”. In effetti, a tal proposito, non si può non rilevare che anche laddove la Corte di legittimità ammette un affievolimento del requisito della correttezza formale dell’esposizione (pensiamo, per es., alle ipotesi riconducibili al diritto di critica o a quello di satira; sul diverso atteggiarsi del requisito di continenza nel diritto di critica e in quello di cronaca cfr., tra le più significative, Cass. Pen. 28.10.2010, n. 4938, CED 249239, nonché, più di recente, Cass. Pen. 26.09.2016, n. 25518, CED 270284), tuttavia considera invalicabile il limite della dignità della persona, che non tollera espressioni sconfinanti nella contumelia o nell’aggressione alla sfera morale altrui (sulla necessità che la critica sia proporzionata e funzionale alla comunicazione, e non si risolva in un attacco personale, v., per es., Cass. Pen. 9.3.2015, n. 18170, CED 263460).

Infine, la Corte esclude la sussistenza di un interesse pubblico alla notizia, “trattandosi di una vicenda che non coinvolge un personaggio pubblico, ma che, interna ad un condominio, può suscitare l’attenzione dei soli condomini che vi risiedono”. Con tale affermazione la Corte dimostra di discostarsi da consolidati orientamenti, giurisprudenziali e dottrinali. In particolare, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (v. per es. Standard Verlags GmbH c. Austria, 10.4.2012, ric. n. 34702/07 in http://hudoc.echr.coe.int), in presenza di un procedimento penale pendente, riconosce sempre l’interesse del pubblico ad esserne informato, a prescindere dalla notorietà del soggetto coinvolto; in dottrina, sulla sussistenza in re ipsa dell’interesse pubblico in relazione ai procedimenti penali, desumibile dall’art. 101 Cost., cfr. Turchetti, Cronaca giudiziaria e responsabilità penale del giornalista, 2014, p. 69 e dottrina ivi citata.

Riferimenti normativi:

art. 595 comma 3 c.p.

art. 702 bis c.p.c.

art. 415 bis c.p.p.

art. 27, Cost.

Corte d’Appello di Napoli, sentenza 16 gennaio 2019

 

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