Numeri e deleghe nell’assemblea di condominio
Il Tribunale di Verona, con sentenza del 15 ottobre 2019, ha affermato che, ai fini della maggioranza numerica di cui all’art. 1136 c.c., il condomino titolare di più appartamenti, come i comproprietari dello stesso immobile, valgono per una “testa”, e che il solo condomino pseudo rappresentato può far valere il difetto di delega del rappresentante.
di Antonio Scarpa – Consigliere della Corte di cassazione
Il Tribunale di Verona, con sentenza del 15 ottobre 2019, ha rigettato l’impugnazione di due deliberazioni assembleari condominiali proposta da alcuni condomini, i quali lamentavano errori nel calcolo delle maggioranze inerenti al numero degli intervenuti, nonché il difetto di delega di un rappresentante.
Ad avviso del Tribunale, in relazione alla maggioranza degli intervenuti prescritta dall’art. 1136 c.c. (in combinato con la maggioranza relativa al valore dell’edificio), deve ritenersi che il condomino, il quale sia proprietario o comproprietario, come nel caso di specie, di più unità immobiliari, va considerato in sede di assemblea come una sola “testa”, rappresentante i millesimi risultanti dalla somma dei valori di proprietà dei suoi immobili.
Quanto, invece, alle doglianze circa il difetto di delega di colui che aveva votato per conto dei comproprietari di una ulteriore unità immobiliare, il Tribunale di Verona ha negato che gli attori fossero legittimati a svolgerle, essendo questione rimessa alla sola iniziativa del falsamente rappresentato.
Le conclusioni cui perviene il Tribunale di Verona sembrano da condividere.
E’ unanime la convinzione, in giurisprudenza come in dottrina, secondo cui l’art. 1136 c.c., il quale fa riferimento, per l’approvazione delle deliberazioni assembleari, ad un determinato numero di partecipanti al condominio ed ad un determinato valore dell’edificio rappresentato dalle rispettive quote, comporta che ogni condomino intervenuto possa esprimere un solo voto (ed analogamente va considerata la posizione degli astenuti e degli assenti), qualunque sia l’entità della quota che rappresenta ed indipendentemente dal fatto che questa sia costituita da una sola o da più unità immobiliari, stante l’autonoma rilevanza attribuita al voto personale rispetto al valore, sia pure minimo, della quota rappresentata dal singolo condomino (Cass. 9 dicembre 1988, n. 6671). Così come, ai fini delle maggioranze numeriche, tutti i comproprietari di una medesima unità immobiliare “contano per uno”, e cioè esprimono un solo voto.
Quest’ultima interpretazione è avvalorata dalla lettura del vigente secondo comma dell’art. 67 disp. att. c.c., il quale dispone che: “Qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’art.1106 c.c.”. Ciò suppone che la maggioranza dei comproprietari, calcolata nei modi indicati dall’art. 1105 c.c., decida di delegare ad uno dei partecipanti o ad un terzo l’amministrazione del bene rientrante nella comunione, non potendo altrimenti né l’assemblea, né lo stesso regolamento, coartare la volontà dei medesimi comproprietari.
Peraltro, secondo tradizionale orientamento, se è certo che tutti i comproprietari “pro indiviso” di un unità immobiliare devono essere individualmente convocati all’assemblea condominiale, si è anche costantemente affermato che, affinché uno dei comproprietari possa ritenersi convocato all’assemblea del condominio, nonché validamente in essa rappresentato dall’altro comproprietario della medesima unità immobiliare (e ciò soprattutto in fattispecie di comunioni tra coniugi), non occorrerebbe alcuna particolare formalità, essendo piuttosto sufficiente che risulti provato, anche per presunzioni, che il comproprietario assente abbia ricevuto effettiva notizia della convocazione dell’assemblea, ed abbia conferito, sia pur verbalmente, il potere di rappresentanza al secondo comproprietario (Cass. 18 febbraio 2000, n. 1830; Cass. 27 luglio 1999, n. 8116; Cass. 11 novembre 1992, n. 12119; Cass. 24 gennaio 1980, n. 590; Cass. 12 gennaio 1978, n. 124). Alla permanente attendibilità di tale interpretazione si oppongono, tuttavia, oggi l’art. 66, comma 3, disp. att. c.c., il quale impone specifici requisiti formali per l’avviso di convocazione da inoltrare a tutti gli aventi diritto (lettera raccomandata, posta elettronica certificata, fax o consegna a mano ), nonché l’art. 67, comma 1, disp. att. c.c., che richiede che il rappresentante all’assemblea sia comunque munito di delega scritta.
Quanto alla questione del difetto di delega, è noto come l’art. 67 (in particolare, commi 1 e 5) disp. att. c.c., a seguito della Riforma del 2012, ha subito cambiamenti complessivamente ispirati dallo scopo di regolare l’esercizio del diritto dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, in maniera da garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle riunioni, prescrivendo, anzitutto, la forma scritta della delega, facendo poi divieto al delegato di rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore dell’edificio ove i condomini siano più di venti, impedendo, infine, il conferimento di deleghe all’amministratore. In particolare, risulta quindi superata l’ammissibilità, dapprima sostenuta nelle sentenze, di un’attribuzione verbale del potere rappresentativo per la partecipazione all’assemblea condominiale (cui conseguivano difficoltà di prova quanto all’esistenza, all’oggetto ed ai limiti della delega); la necessità della delega scritta facilita anche la redazione dell’elenco nominativo degli intervenuti all’interno del verbale dell’assemblea, ai fini della verifica dei quorum prescritti dall’art. 1136 c.c.
Per quanto, tuttavia, non ulteriormente previsto dall’art. 67 disp. att. c.c., rimane valida la tesi secondo cui, in difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato vanno disciplinati in base alle regole sul mandato. Si sostiene così che solo il condomino delegante e quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condomini, perché estranei a tale rapporto (Cass. 30 gennaio 2013, n. 2218; Cass. 7 luglio 2004, n. 12466; Cass. 27 luglio 1999, n. 8116).
L’atto del rappresentante è certamente destinato a produrre effetti giuridici nella sfera del condomino rappresentato, in quanto, ad esempio, il voto favorevole del rappresentante finisce per precludere al delegante la legittimazione all’impugnazione accordata ad assenti, dissenzienti e astenuti dall’art. 1137, comma 2, c.c. Peraltro, l’operato del delegato spiega i propri effetti anche e soprattutto nei rapporti tra i condomini, posto che contribuisce a formare la “volontà dell’assemblea”.
Si è affermato in passato dalla Corte di Cassazione, e di questa ricostruzione si trova eco anche nella sentenza del Tribunale di Verona, che altra conseguenza dell’inquadramento dei rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato nell’ambito del mandato, sarebbe che l’operato del falso delegato nel corso dell’assemblea non è nullo, e neppure annullabile, ma inefficace nei confronti del delegante fino alla ratifica di questi; tuttavia, tale inefficacia temporanea non sarebbe rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione del condomino pseudo – rappresentato (Cass. 27 marzo 2003, n. 4531; Cass. 26 aprile 1994, n. 3952).
Si potrebbe però ragionare in maniera parzialmente diversa, alla stregua dell’insegnamento di Cass. Sez. Unite, 3 giugno 2015, n. 11377, sulla rilevabilità d’ufficio del difetto del potere rappresentativo. Si immagini che il condominio deduca in giudizio che un condomino era presente ad un’assemblea per il tramite di un delegato, sicché la deliberazione adottata in tale occasione abbia acquisito efficacia vincolante nei suoi confronti, ancorché dissenziente, ovvero perché addirittura ad essa favorevole stando al voto espresso dal delegato. In tale prospettiva, la presenza del potere rappresentativo del delegato (o la ratifica da parte del condomino delegante interessato) si pone come fatto costitutivo rilevante, in quanto elemento di struttura in funzione del dispiegamento degli effetti dell’atto collettivo nei confronti del rappresentato. Il voto espresso, perciò, dal delegato in difetto o in eccesso di rappresentanza non vincola il condomino falsamente rappresentato verso il condominio. La deduzione dell’inefficacia del voto espresso da un delegato senza poteri rappresenta, quindi, in simili fattispecie, non una eccezione, ma una mera difesa, sicché il giudice deve tener conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte.
Riferimenti normativi:
Art. 1136 c.c.
Art. 1137, comma 2, c.c.
Art. 67 disp. att. c.c.
Tribunale di Verona, sentenza 15 ottobre 2019
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