Omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali: l’INPS non deve comunicare l’iscrizione a ruolo del credito

Omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali: l’INPS non deve comunicare l’iscrizione a ruolo del credito

Omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali: l’INPS non deve comunicare l’iscrizione a ruolo del credito

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato quella di primo grado, che aveva condannato un datore di lavoro per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, la Corte di Cassazione (sentenza 7 ottobre 2019, n. 41056) – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui non era stata superata la soglia di punibilità prevista dalla legge, non essendo stata comunicata dall’INPS l’iscrizione a ruolo quale necessario presupposto per l’invio della diffida – ha invece affermato che la contestazione e la notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, di cui all’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, prescindono dall’iscrizione a ruolo dei relativi crediti ai sensi degli artt. 24 e 25 del d.lgs. n. 46 del 1999, perché tale iscrizione attiene al successivo procedimento di riscossione e non può assumere, perciò, rilevanza a fini penali.

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che il D.lgs. n° 8/2016 ha disciplinato la depenalizzazione di numerose ipotesi di reato in materia di lavoro e previdenza obbligatoria prevedendone la trasformazione in illeciti amministrativi. In materia previdenziale il Decreto ha parzialmente depenalizzato il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti introducendo una distinzione correlata al valore dell’omissione compiuta. In particolare, il datore di lavoro: a) è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a Euro 1.032, se l’importo omesso è superiore a Euro 10.000 annui; b) è assoggettato a sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 10.000 a Euro 50.000, se l’importo omesso non è superiore a Euro 10.000 annui. Si sottolinea come il datore di lavoro non sia punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provveda al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

Il delitto in questione è da considerarsi a tutti gli effetti illecito omissivo istantaneo che si consuma nel momento in cui scade il termine utile per il versamento da parte del datore di lavoro. Per cui il successivo versamento delle somme dovute, previsto dalla norma nei “tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”, realizza la causa di esclusione della punibilità di un fatto di reato già perfezionatosi nei suoi elementi costitutivi. Dunque, appare evidente come la tempestività del versamento sia quindi condizione imprescindibile per il venir meno della punibilità del fatto, con la conseguenza che, quando viene contestato un reato di questo tipo e genere, avente ad oggetto il mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, mediante la notifica di un atto giudiziario da parte del Tribunale, importanza dirimente assume la verifica della preventiva ricezione, da parte del datore, dell’accertamento effettuata dall’INPS, a seguito della quale lo stesso ha avuto ancora tre mesi di tempo per versare le somme contestate e dovute.

E in tal senso maggioritaria deve considerarsi la giurisprudenza in accordo alla quale in caso di ritardo nel versamento del quantum dovuto, l’estinzione del reato è possibile solo nel caso in cui non risulti certa la contestazione o la notifica dell’avvenuto accertamento delle violazioni. Solo in questa ipotesi il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento dovuto decorre dalla notifica del decreto di citazione a giudizio (cfr., ex multiis, Cass. pen. n. 4723 del 2008; Cass. pen. n. 38501 del 2007; Cass. pen. n. 27258 del 2007; Cass. Sez. III del 12 dicembre 2007 n. 4723). Le Sezioni Unite della Cassazione, peraltro, hanno poi puntualizzato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità (Cass. pen. Sez. U, n. 1855 del 24/11/2011 – dep. 18/01/2012, Sodde, Rv. 251268).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte d’appello aveva parzialmente confermato la sentenza del Tribunale, con la quale l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen., e all’art. 2 del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua veste di legale rappresentante di una società cooperativa, non aveva versato all’Inps le ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti per dieci mesi, per un importo complessivo superiore a 23 mila euro. Ricorrendo in Cassazione, l’imputato sosteneva il mancato superamento della soglia di punibilità annuale per la tardiva iscrizione a ruolo di una parte del credito previdenziale, atteso che l’art. 25 del d.lgs. n. 46 del 1999 richiede l’iscrizione a ruolo quale necessario presupposto per l’invio della diffida.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, con cui si deduceva l’efficacia preclusiva della mancata tempestiva iscrizione a ruolo del credito previdenziale rispetto all’invio dell’avviso di accertamento, ha ritenuto che la stessa si fondasse sulla prospettazione puramente ipotetica, secondo cui, poiché l’INPS non aveva comunicato il momento in cui era stata effettuata l’iscrizione a ruolo delle somme, non vi era prova del rispetto del relativo termine decadenziale. Con l’ulteriore conseguenza che la diffida di cui all’art. 2, comma 1- bis, del d.l. n. 463 del 1983 non sarebbe stata possibile. In altri termini, rilevava la Corte Suprema, era lo stesso ricorrente ad ammettere di non sapere quando l’iscrizione a ruolo fosse avvenuta, attribuendo all’amministrazione previdenziale un onere non previsto dalla legge penale, ovvero quello di comunicare all’interessato, non solo l’avviso di accertamento ma anche l’iscrizione a ruolo del credito, che sarebbe prodromica rispetto a tale avviso. La prospettazione difensiva, secondo i Supremi Giudici, risulta manifestamente erronea anche in relazione a tale ultimo profilo. Da un lato, rileva l’art. 24, d. lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 (recante Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della L. 28 settembre 1998, n. 337), che, sotto la rubrica «Iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali», prevede che “1. I contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali non versati dal debitore nei termini previsti da disposizioni di legge o dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici sono iscritti a ruolo, unitamente alle sanzioni ed alle somme aggiuntive calcolate fino alla data di consegna del ruolo al concessionario, al netto dei pagamenti effettuati spontaneamente dal debitore. 2. L’ente ha facoltà di richiedere il pagamento mediante avviso bonario al debitore. L’iscrizione a ruolo non è eseguita, in tutto o in parte, se il debitore provvede a pagare le somme dovute entro trenta giorni dalla data di ricezione del predetto avviso. Se, a seguito della ricezione di tale avviso, il contribuente presenta domanda di rateazione, questa viene definita secondo la normativa in vigore e si procede all’iscrizione a ruolo delle rate dovute. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 25, l’iscrizione a ruolo è eseguita nei sei mesi successivi alla data prevista per il versamento. 3. Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice. 4. In caso di gravame amministrativo contro l’accertamento effettuato dall’ufficio, l’iscrizione a ruolo è eseguita dopo la decisione del competente organo amministrativo e comunque entro i termini di decadenza previsti dall’articolo 25. 5. Contro l’iscrizione a ruolo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Il ricorso va notificato all’ente impositore. 6. Il giudizio di opposizione contro il ruolo per motivi inerenti il merito della pretesa contributiva è regolato dagli articoli 442 e seguenti del codice di procedura civile. Nel corso del giudizio di primo grado il giudice del lavoro può sospendere l’esecuzione del ruolo per gravi motivi. 7. Il ricorrente deve notificare il provvedimento di sospensione al concessionario. 8. Resta salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462”. Dall’altro, l’art. 25 del citato decreto, sotto la rubrica «Termini di decadenza per l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali», prevede che “1. I contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali sono iscritti in ruoli resi esecutivi, a pena di decadenza: a) per i contributi o premi non versati dal debitore, entro il 31 dicembre dell’anno successivo al termine fissato per il versamento; in caso di denuncia o comunicazione tardiva o di riconoscimento del debito, tale termine decorre dalla data di conoscenza, da parte dell’ente; b) per i contributi o premi dovuti in forza di accertamenti effettuati dagli uffici, entro il 31 dicembre dell’anno successivo alla data di notifica del provvedimento ovvero, per quelli sottoposti a gravame giudiziario, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui il provvedimento è divenuto definitivo”. In particolare, ha osservato la Cassazione, gli artt. 24 e 25 del d.lgs. n. 46 del 1999, che stabiliscono l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti pubblici previdenziali e i relativi termini di decadenza, disciplinano la fase della riscossione mediante ruolo, che è successiva rispetto a quella dell’accertamento e della richiesta di versamento a norma del richiamato art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983, il quale esclude la punibilità nel caso di «versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione».

Da qui, pertanto, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 2 L. 11/11/1983, n. 683

Art. 2 D.l. 12/09/1983, n. 463

Art. 24 D. lgs. 26 febbraio 1999, n. 46

Art. 25 D. lgs. 26 febbraio 1999, n. 46

Cassazione penale, sezione III, sentenza 7 ottobre 2019, n. 41056

 

Attachments