Reati edilizi: l’attestazione di conformità comporta l’obbligo di vigilanza del progettista

La III Sezione Penale della Cassazione, con sentenza del 25 settembre 2019 n. 39317, nel delineare i tratti della responsabilità penale del progettista e del direttore dei lavori, in caso di abusi edilizi puniti ai sensi dell’art. 44 lett. b) D.P.R. 380/2001, si sofferma sulla differenza funzionale della sospensione condizionale della pena rispetto al beneficio della non menzione.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Cass. pen. sez. III, n. 9058/2017

Cass. pen. sez. III, n. 7406/2015

Cass. pen. sez. III, n. 34602/2010

Cass. pen. sez. III, n. 28267/2008

Vedi anche Cass. pen. sez. III, n. 51580/2018

Cass. pen. sez. III, n. 51489/2018

Cass. pen. sez. III, n. 19111/2016

Cass. pen. sez. III, n. 47039/2015

L’attestazione del progettista di “conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti” comporta l’esistenza in capo al medesimo di un obbligo di vigilanza sulla conforme esecuzione dei lavori. L’assenza dal cantiere non esclude la penale responsabilità per gli abusi commessi dal direttore dei lavori, sul quale ricade l’onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all’incarico. Infatti, il direttore dei lavori assume anche la funzione di garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori.

Il caso di specie

Il caso di specie riguarda la vicenda di un professionista – chiamato a svolgere il ruolo di progettista e direttore dei lavori – il quale, in funzione dell’incarico conferitogli, aveva presentato denuncia di avvio dei lavori.

Tuttavia, a fronte di abusi accertati e puniti ex art. 44 lett. b) d.p.r. 380/2001, il professionista si era difeso asserendo che questi erano stati realizzati a sua insaputa.

La Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Messina, condannando il professionista alla pena, sospesa, di 1 mese di arresto ed € 12.000,00 di ammenda.

Avverso tale pronuncia, il professionista interponeva ricorso per Cassazione, sul presupposto di non avere alcun specifico dovere di vigilanza e dolendosi, fra le altre eccezioni, del rigetto della richiesta di non punibilità per particolare tenuità del fatto e del mancato riconoscimento della non menzione, nonostante la concessione della sospensione condizionale della pena.

La questione giuridica sottoposta alla Corte

Nel confermare la decisione della Corte d’Appello che aveva condannato il ricorrente, in qualità di progettista e direttore dei lavori, per l’esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire, la Suprema Corte delinea i tratti della responsabilità penale di tali figure.

Rispetto alla responsabilità del ricorrente/progettista, la Corte osserva che è configurabile la responsabilità del progettista in caso di realizzazione di interventi edilizi necessitanti il permesso di costruire, ma eseguiti in base ad una denuncia di inizio attività accompagnata da dettagliata relazione a firma del predetto professionista, in quanto l’attestazione del progettista di “conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti” comporta l’esistenza in capo al medesimo di un obbligo di vigilanza sulla conforme esecuzione dei lavori.

Sul punto, infatti, il ricorrente progettista si è difeso affermando di aver solamente redatto gli elaborati tecnici necessari e propedeutici alla denuncia dell’avvio dei lavori, ma di non aver vigilato sugli stessi, tanto più che i lavori contestati avevano avuto ad oggetto parti diverse dell’immobile rispetto a quanto costituiva oggetto dell’incarico affidato al professionista, altresì affermando di non essere stato messo a parte da alcuno circa l’inizio dei lavori.

In merito alla responsabilità del direttore dei lavori, la Suprema Corte ha quindi confermato l’indirizzo giurisprudenziale risalente alla vigenza della legge 28 febbraio 1985, n. 47, secondo cui il direttore dei lavori è da ritenersi penalmente responsabile anche nel caso di sua assenza, “dovendo egli esercitare un’attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e, in caso di necessità, scindere immediatamente la propria posizione da quella del committente, rinunziando all’incarico”.

Indirizzo al quale evidentemente la Corte continua ad aderire, in quanto, analogamente a quanto previsto dall’articolo 6 della legge n. 47/1985, l’articolo 29, comma 2, del Testo unico edilizia prevede che il direttore dei lavori non è responsabile in tre ipotesi:

a) nel caso in cui questi abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, con esclusione delle varianti in corso d’opera

b) qualora abbia fornito al dirigente o responsabile dell’ufficio comunale competente contemporanea e motivata comunicazione della violazione.

c) nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, purché rinunzi all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente comunale.

Di qui il principio ribadito dalla Suprema Corte, secondo cui il direttore dei lavori, oltre ad essere il referente del committente per gli aspetti di carattere tecnico, assume la funzione di garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto del contenuto dei titoli abilitativi. E tale funzione si collega all’obbligo di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori ed al dovere di contestare le eventuali irregolarità riscontrate, senza che ciò implichi la presenza continua e giornaliera sul cantiere.

Nel caso di cui si tratta, la sentenza impugnata ha ascritto al professionista in questione un comportamento del tutto inerte e – quantomeno – colpevolmente passivo, benché il direttore dei lavori assuma – come si diceva – anche la funzione di garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori.

Infine, sempre con la pronuncia in oggetto, la Corte puntualizza anche sulla mancata concessione del beneficio della non menzione e si sofferma sulla differenza funzionale tra tale istituto e la sospensione condizionale della pena.

Il ricorrente infatti si doleva della contradditorierà della motivazione della sentenza, in considerazione del fatto che gli sarebbe stata concessa la sospensione condizionale della pena, ma non il beneficio della non menzione.

La Corte coglie, quindi, l’occasione di precisare che, mentre la sospensione condizionale della pena ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento, il beneficio della non menzione, eliminando la pubblicità quale conseguenza negativa del reato, ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato.

Ed è proprio tale diversa funzione dei due istituti che permette la non applicazione contemporanea di entrambi.

Ricadute pratiche

Sulla base dei principi enunciati dalla Suprema Corte, il direttore dei lavori può andare esente da rimprovero, a condizione che ottemperi agli obblighi di comunicazione e che rinunci all’incarico non appena abbia conoscenza che le direttive impartite siano state disattese o violate.

In caso contrario, egli è destinato a rispondere penalmente, sia che si disinteressi dei lavori, senza formalizzare o formalizzando in ritardo le proprie dimissioni, sia nel caso in cui non rispetti le modalità previste dall’articolo 29, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

Esito del ricorso:

Rigetto

Riferimenti normativi:

Art. 44, lett. B, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Art. 29 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Art. 93 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Art. 94 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Art. 95 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

Art. 110 c.p.

Art. 131-bis c.p.

Cassazione penale, sezione III, sentenza 25 settembre 2019, n. 39317

 

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