Cadono calcinacci dal balcone e feriscono un passante: ne risponde il proprietario dell’appartamento

Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte di Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di condanna di primo grado, prosciogliendo la proprietaria di un appartamento dal reato di cui all’art. 677 c.p., per intervenuta prescrizione, confermando la condanna per il reato di lesioni colpose, cagionate dalla caduta di calcinacci dal balcone di proprietà della donna, che erano caduti rovinosamente su un passante che stava transitandovi sotto, la Corte di Cassazione (sentenza 20 febbraio 2019, n. 7665) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui la stessa non poteva essere considerata colpevole, in quanto la posizione di garanzia era da attribuirsi all’amministratore del condominio – ha, infatti, affermato che la proprietaria deve ritenersi titolare di una posizione di garanzia che deriva dalla previsione di cui all’art. 677 c.p., in virtù del rapporto di particolare prossimità con il bene la cui tutela viene ad esserle affidata attraverso l’imposizione dell’obbligo di agire e di predispone i lavori necessari per la rimozione del pericolo.

Prima di soffermarci sulla, interessante, pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l’art. 677 c.p., sotto la rubrica «Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina», punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929 la condotta del proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo. La stessa sanzione si applica a chi, avendone l’obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall’avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione. L’unica ipotesi di rilevanza penale è quella contemplata dal comma 3, secondo cui “Se dai fatti preveduti dalle disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda non inferiore a euro 309”.

La violazione dell’obbligo giuridico del proprietario di rimuovere il pericolo derivante dalla minaccia di rovina di un edificio o di parti di esso integra la fattispecie, incentrata sulla mera omissione dell’obbligo di provvedere ai lavori occorrenti per rimuovere la fonte di pericolo. È riservato al giudice stabilire se ed in che misura quell’omissione abbia determinato pericolo per le persone, così da far scattare la sanzione di cui al 3° co. e non quella amministrativa dei due precedenti commi (la Corte ha ritenuto non potersi affermare il pericolo sulla sola base del contenuto di un’ordinanza sindacale che imponeva lo svolgimento di lavori, Cass. pen. sez. I, 29/3/2001); la fattispecie di cui al 1° co. incrimina l’omissione dei lavori necessari a rimuovere il pericolo, generico e presunto, in un edificio o costruzione che minacci rovina; l’ipotesi prevista al 3° co. richiede che dall’omissione dei lavori derivi il pericolo concreto per l’incolumità delle persone (Cass. pen. sez. I, 3/5/2006, n. 16285); idem Cass. pen. sez. I, 7/10/1992 secondo cui il concreto pericolo per la pubblica incolumità non può essere limitato alla sola eventualità che il crollo coinvolga passanti ma deve necessariamente riferirsi anche all’occasionale passaggio, per motivi di lavoro o per qualsiasi altra ragione, nel terreno in cui insiste l’edificio in rovina, sicché il reato sussiste anche nel caso di edificio ubicato all’interno di terreno privato (idem Cass. pen. sez. I, 17/1/2008); è legittimo, nell’ambito di procedimenti per i reati di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina, il sequestro preventivo degli immobili costituenti causa di un evento franoso (C. Sez. I, 30/9/2009).

Per quanto qui di interesse, l’inosservanza dell’obbligo di provvedere all’esecuzione dei lavori necessari a rimuovere il pericolo di rovina in edifici o altre costruzioni è reato proprio che può essere commesso dal soggetto che, pur non essendo proprietario, ha l’obbligo – per fonte legale o convenzionale – di conservazione o vigilanza sul bene, sempre che, trattandosi di obblighi alternativi e non sussidiari, vi sia una verifica circa l’esistenza delle disposizioni normative attributive di specifici obblighi di conservazione o vigilanza. (la Suprema Corte ha ritenuto che il Soprintendente ai beni ambientali è obbligato ex art. 37 D.Lgs. 29/10/1999 n. 490, oggi art. 32 D. Lgs. 22/1/2004, n. 42, ad assicurare la conservazione dei beni culturali e ad impedire il loro deterioramento, nel caso minaccino rovina, intervenendo direttamente o imponendo al proprietario l’esecuzione dei lavori necessari, da svolgere sotto la sua vigilanza) (Cass. pen. sez. I, 7.7.2005). La contravvenzione può essere commessa soltanto dal proprietario dell’edificio o dal non proprietario che, per legge o per convenzione, sia obbligato alla conservazione o alla vigilanza del medesimo, sicché non ne risponde il conduttore dell’appartamento sito nell’edificio in disfacimento (Cass. pen. sez. IV, 17/10/2012-29/1/2013, n. 4493). L’obbligo giuridico di rimuovere il pericolo derivante dalla possibile rovina di parti comuni dell’edificio condominiale incombe sull’amministratore del condominio, che deve avvalersi, con la necessaria urgenza, dei poteri riconosciutigli dagli artt. 1130, nn. 3 e 4 e 1135, 2° co., c.c. per evitare violazioni del principio del neminemlaederetuttavia il dovere risorge in capo ai singoli condomini qualora, per comprovate cause accidentali (quali indisponibilità di fondi o rifiuto dell’assemblea), l’amministratore versi nell’impossibilità materiale di agire (Cass. pen. sez. I, 10/2/2009; Cass. pen. sez. I, 19/6/1996), così come per il caso di mancata formazione della volontà assembleare (Cass. pen. sez. I, 6/2/2001) o se l’amministratore non possa, per cause accidentali, adoperarsi con la necessaria urgenza (Cass. pen. sez. I, 26/1/2001); contra destinatario dell’obbligo di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo è il proprietario dell’immobile o colui che, per fonte legale o convenzionale, sia tenuto alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio, ma non l’amministratore del condominio, sul quale non incombono obblighi di questo genere, essendogli attribuita soltanto la gestione delle cose comuni (Cass. pen. sez. IV, 29/1/2008).

La responsabilità del singolo condomino per la contravvenzione dell’art. 677 può essere affermata quando il pericolo di rovina abbia avuto origine nell’ambito della parte di edificio della quale il condomino è proprietario esclusivo, perché al compimento dei lavori nelle parti comuni debbono provvedere, secondo i casi, l’amministratore o l’assemblea dei condomini, mentre ciascun condomino, per la disposizione dell’art. 1134 c.c., ha la facoltà e non l’obbligo di anticipare le somme necessarie per i lavori urgenti (Cass. pen. sez. VI, 22.4.1980); contra in un edificio condominiale l’obbligo di eseguire i lavori necessari a scongiurare il pericolo di rovina, grava, in caso di mancata formazione della volontà assembleare, sul singolo condomino, indipendentemente dall’attribuibilità ad esso della situazione pericolosa (Cass. pen. sez. I, 17/1/2008).

Tanto premesso, nel caso in esame, era accaduto che una sera d’inverno, il titolare di un locale pizzeria, veniva colpito da un calcinaccio che si staccava dall’edificio di proprietà dell’imputata. I giudici di merito, in particolare, attribuivano la responsabilità dell’occorso all’imputata sostenendo che la stessa fosse titolare di una posizione di garanzia in virtù del rapporto di particolare prossimità con il bene la cui tutela viene ad esserle affidata attraverso l’imposizione dell’obbligo di agire e predisporre i lavori necessari per la rimozione di pericolo, aggiungendo che come la stessa fosse nelle condizioni concrete di rendersi conto dello stato di degrado dell’immobile di sua proprietà, nonostante l’imputata risiedesse altrove e si recasse saltuariamente nell’abitazione (sita in una nota località balneare, distante centinaia di chilometri di distanza) durante le vacanze, ma soprattutto la Corte d’Appello riteneva che il conferimento di una delega orale ad un amministratore di condominio non esonerasse la prevenuta dalla responsabilità cosiddetta “di posizione”, quale proprietaria dell’intero edificio. L’imputata, ricorrendo in Cassazione, contestava l’affermazione di responsabilità, osservando che nessuna posizione di garanzia poteva ritenersi sussistente a suo carico, attesa la nomina di un amministratore di condominio e la sua posizione di garanzia rispetto al proprietario del fabbricato.

La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha invece affermato il principio di cui sopra, ribadendo, con la migliore giurisprudenza supra citata, che l’imputata non risultava solo in astratto titolare della suddetta posizione di garanzia, ma si trovava anche nelle condizioni concrete di rendersi conto che l’immobile di sua proprietà necessitasse di lavori per la messa in sicurezza degli intonaci, circostanza, quest’ultima, pacifica ed incontroversa, stante lo stato di degrado in cui l’edificio versava, così come documentato nella relazione di intervento dei VV.FF. redatta la sera dell’incidente. Infatti, l’imputata, pur risiedendo altrove, si recava presso l’abitazione balneare di sua proprietà durante il fine settimana e, anche a non voler ritenere provata la presenza della donna nell’immobile di sua proprietà nel periodo delle vacanze natalizie immediatamente pre- cedente l’epoca di verificazione dell’infortunio, frequentava abitualmente la zona, potendo avere contezza delle condizioni in cui il bene di sua proprietà si trovava, tanto che ne aveva deciso la ristrutturazione, sia pure delle opere interne. Peraltro, conclude la Cassazione, non avrebbe potuto attribuirsi alcuna responsabilità all’amministratore del condominio, atteso che, in ogni caso, l’imputata non poteva essere mandata esente da responsabilità, essendo nelle sue possibilità, e quindi dovendo pretendersi – ammesso e non concesso che potesse parlarsi di delega efficace attribuita all’amministrtaore – che si attivasse nel modo più confacente per l’adempimento degli obblighi su di lei gravanti.

Da qui, dunque, l’inammissibilità del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 677, comma 3, c.p.

Cassazione penale, sezione IV, sentenza 20 febbraio 2019, n. 7665

 

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