Contatori per la ripartizione dei consumi d’acqua potabile: un’altra Grundnorm inderogabile per i condomini?

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 3 maggio 2019, ha rigettato l’impugnazione della delibera condominiale di installazione dei contatori di misurazione dell’acqua potabile, nonostante la mancata specificazione della questione nell’ordine del giorno, sul presupposto della imperatività della disciplina pubblicistica di ripartizione del consumo d’acqua.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 3 maggio 2019, ha rigettato l’impugnazione di una deliberazione di assemblea condominiale, che aveva disposto l’installazione dei contatori di misurazione dell’acqua potabile, ponendo fine alla determinazione dei consumi secondo i millesimi. In realtà, l’attore, per quanto si legge nella sentenza, si era lamentato che l’argomento dell’installazione del contatore individuale per la contabilizzazione dei consumi di acqua potabile non era stato inserito nell’ordine del giorno della convocazione assembleare. Il Tribunale ha però risposto che l’installazione del contatore era del tutto legittima, in quanto il ricorso ai millesimi di proprietà per ripartire la spesa di consumo dell’acqua potabile può ammettersi soltanto in mancanza di contatori di sottrazione individuali; anzi, la contestata installazione era doverosa, in quanto imposta dall’art. 5, L. 5 gennaio 1994, n. 36 sul Servizio Idrico Integrato (come modificato dal d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152)

La deliberazione assembleare impugnata, quindi, non avrebbe introdotto, stando alla sentenza in commento, nessun nuovo obbligo di installazione, in quanto soltanto ricognitiva dell’obbligo normativo di installazione del contatore individuale.

Secondo il Tribunale di Milano, neppure aveva rilievo la previsione contenuta nel regolamento contrattuale, per cui la spesa d’acqua doveva suddividersi in millesimi, in quanto la normativa speciale menzionata avrebbe natura pubblicistica e derivazione comunitaria, prevalendo perciò sulle nonne nazionali e tanto più sui regolamenti condominiali.

La sentenza del Tribunale di Milano non può essere condivisa.

L’attore aveva lamentato, per quel che si intuisce dalla lettura del provvedimento, la mancata specifica indicazione, tra gli argomenti oggetto dell’ordine del giorno dell’assemblea, della installazione dei contattori di misurazione dell’acqua potabile. L’impugnazione della delibera andava quindi esaminata sotto il profilo della denunciata violazione del diritto di informazione preventiva dei convocati, sancito dall’art. 66, comma 3, disp. att c.c., dovendo l’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione elencare specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, in modo da consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l’importanza, e di poter valutare l’atteggiamento da tenere, in relazione sia alla opportunità o meno di partecipare, sia alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti (Cass. 19 ottobre 2010, n. 21449).

La circostanza che l’installazione dei contatori, deliberata dall’assemblea, fosse, ad avviso del Tribunale, addirittura imposta dalla legge, non costruisce automatica deroga alle regole relative alla composizione dell’ordine del giorno.

Solo per le delibere assembleari che abbiano ad oggetto un contenuto generico e programmatico può dirsi che non necessita, ai fini della loro validità, che il relativo argomento sia tra quelli posti all’ordine del giorno nell’avviso di convocazione, trattandosi di contenuti non suscettibili di preventiva specifica informativa ai condomini e, comunque, costituenti possibile sviluppo della discussione e dell’esame di ogni altro punto all’ordine del giorno (Cass. 25 maggio 2016, n. 10865).

Non appare neppure corretta l’interpretazione (peraltro conforme a precedenti dello stesso ufficio giudiziario: cfr. Trib. Milano 6 febbraio 2018, n. 1280) secondo cui il criterio di riparto delle spese per la fornitura di acqua potabile in base al consumo effettivamente registrato da contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, allo stato desumibile dall’art. 146, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, costituisce una norma imperativa, non derogabile nemmeno con accordo unanime di tutti i condomini.

L’imperatività del sistema dei contatori di sottrazione dell’acqua potabile viene desunta dall’art. 5, L. 5 gennaio 1994, n. 36 (come modificato dall’art. 25, D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152), poi art. 146, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, rubricato “Risparmio idrico”, ed in forza del quale “le regioni prevedono norme e misure volte a favorire la riduzione dei consumi e l’eliminazione degli sprechi ed in particolare a: (…) d) installare contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa nonché contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano”.

Le spese derivanti dagli oneri delle utenze elettriche, idriche o di distribuzione del gas vengono ripartite di regola in proporzione ai consumi effettivi, e non alle quote di proprietà.

In particolare, ove, come avviene di frequente soprattutto in alcune zone d’Italia, l’amministratore abbia stipulato con l’ente erogatore del servizio idrico un contratto avente ad oggetto il consumo complessivo del fabbricato onde beneficiare dell’applicazione di una tariffa agevolata, è legittimo calcolare la ripartizione interna delle spese condominiali relative all’erogazione dell’acqua in considerazione dei singoli ed effettivi consumi di ciascuno dei condomini, a prescindere dalla circostanza che questi, singolarmente considerati nel loro consumo, non avrebbero consentito l’applicazione della suddetta tariffa agevolata (Cass. 13 marzo 2003, n. 3712). Ove si discuta del servizio di erogazione idrica e la fruizione dell’acqua sia in concreto dimostrata dalla misurazione mediante un contatore dei consumi, la controversia tra condominio e singoli condomini relativa alla quantità di acqua consumata non attiene all’effettività del servizio, ma al corrispettivo della prestazione ricevuta, in relazione alla quale la delibera condominiale di approvazione e riparto del consuntivo di spesa, ove non impugnata, assume necessariamente efficacia vincolante (Cass. 11 maggio 2009. n. 10816).

In un precedente della Corte di cassazione (Cass. 1 agosto 2014, n. 17557), richiamato anche dal Tribunale di Milano nella sentenza in commento, si è poi affermato che, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, in base ai valori millesimali, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. Questa stessa pronuncia della Suprema Corte considerava, peraltro, come, nel condominio, le spese relative alla fornitura dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche; ciò perché l’installazione in ogni singola unità immobiliare di un apposito contatore consente, da un lato, di utilizzare la lettura di esso come base certa per l’addebito dei costi (salvo il ricorso ai millesimi di proprietà per il consumo dell’acqua che serve per le parti comuni dell’edificio), e, dall’altro, di razionalizzare i consumi ed eliminare gli sprechi, e, quindi, di conseguire, in una prospettiva di tutela ambientale, il risparmio della risorsa idrica.

Si diceva della interpretazione, corrente nella giurisprudenza del Tribunale di Milano, in forza della quale il criterio di riparto delle spese per la fornitura di acqua potabile in base al consumo effettivamente registrato da contatori di sottrazione inividuali costituisce una norma imperativa, in quanto disciplina diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l’uso razionale delle risorse idriche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale. Questa conclusione propende per ritenere la nullità della convenzione con cui i condomini decidano all’unanimità di ripartire le spese del sevizio idrico in difformità da quanto previsto dal citato art. 146, D.Lgs. n. 152/2006, sul presupposto che tale disciplina implichi un vincolo pubblicistico di distribuzione degli oneri condominiali, che non può essere superato nemmeno da atti di autonomia negoziale, al punto da incidere, per la sua natura cogente, anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato.

Nel caso deciso dalla sentenza in commento, esisteva infatti una pattuizione nel regolamento condominiale contrattuale che prevedeva la divisione delle spese per il servizio di acqua potabile in base ai millesimi di proprietà, sicché poteva dirsi affetta comunque da nullità la delibera dell’assemblea con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si intendesse modificare il criterio convenzionale di riparto, salvo, appunto, propendere per l’imperatività del precetto normativo sulla installazione dei contatori di misurazione.

In realtà, la disciplina del servizio idrico integrato contenuta nel D.Lgs. n. 152/2006 è ascrivibile, «in prevalenza, alla tutela dell’ambiente e alla tutela della concorrenza» (così Corte Cost. 24 luglio 2009, n. 246). Il legislatore statale ha con tale normativa fissato livelli uniformi di salvaguardia dell’ambiente, ed ha inteso perseguire la finalità di garantire la tutela e l’uso, secondo criteri di solidarietà, delle risorse idriche, preservando «le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale», nonché le altre finalità dell’equilibrio del bilancio idrico e, appunto, del risparmio idrico.

Pur ammettendosi una sostanziale coincidenza di obiettivi tra il criterio legale di ripartizione degli oneri di approvvigionamento d’acqua in base al consumo effettivamente registrato, applicazione del comma 2 dell’art. 1123 c.c., e gli interessi pubblicistici al risparmio idrico sottesi all’art. 146, D.Lgs. n. 152/2006, tale norma non si connota, allora, come imperativa ed inderogabile nei rapporti tra privati, lasciando i condomini liberi di regolare mediante convenzione il contenuto dei loro diritti di proprietà mediante una disposizione regolamentare di natura contrattuale che diversamente suddivida tali spese.

Riferimenti normativi:

Art. 1123, comma 2, c.c.

Art. 5, L. 5 gennaio 1994, n. 36

Art. 146, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152

Tribunale di Milano, sez. XIIII, sentenza 3 maggio 2019, n. 4275

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