Danni provocati dall’attività di demolizione: risponde (sempre) anche il committente?

Danni provocati dall’attività di demolizione: risponde (sempre) anche il committente?

Danni provocati dall’attività di demolizione: risponde (sempre) anche il committente?

Le caratteristiche del mezzo utilizzato per lo svolgimento dell’attività di demolizione impongono una particolare diligenza laddove comportino la rilevante possibilità del verificarsi di un danno: se il committente ha utilizzato un’impresa poco accorta ed ha lasciato utilizzare strumenti non consoni all’ambito cittadino e condominiale risponde in solido con l’appaltatore dei danni provocati ai terzi. E’ quanto si legge nella sentenza n. 279 del Tribunale di Milano del 13 gennaio 2018.

Il caso

La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal conduttore di un immobile adibito ad ufficio professionale per ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione dei lavori edili eseguiti nello stabile confinante, di cui sarebbero responsabili – secondo l’attore – il committente e l’appaltatore, in solido tra di loro.

Nel costituirsi in giudizio, il committente ha negato una propria responsabilità diretta, essendosi limitato ad affidare l’appalto ad un operatore del settore delle costruzioni, senza ingerirsi nell’esecuzione dell’appalto.

Danni a terzi: l’appaltatore è il solo responsabile?

La pronuncia in commento precisa, preliminarmente, che l’autonomia gestionale del rischio e la libertà di esecuzione dell’appaltatore comportano che, durante tutto il tempo dell’esecuzione dell’opera e fino alla consegna, in capo allo stesso sussista sia il dovere di custodia e di vigilanza sulla cosa, sia il rispetto del principio del neminemlaedere, ossia evitare di arrecare danni a terzi a causa dell’opera commissionata (cfr. Cass. civ. sez. II, 5 maggio 2003, n. 6754).

Pertanto, in base al principio dell’autonomia dell’appaltatore – il quale esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta con propria organizzazione apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera – si deve ritenere che, di regola, l’appaltatore sia l’unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera.

Il committente risponde se ha scelto male l’appaltatore o se ha impartito direttive specifiche…

Tale regola, tuttavia, ammette delle eccezioni. Può, infatti, configurarsi una corresponsabilità del committente in caso di riferibilità a quest’ultimo dell’evento dannoso per culpa in eligendo, per avere cioè affidato l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea, in quanto priva delle necessarie capacità tecniche ed organizzative (cfr. Cass. civ. sez. V, 26 marzo 2009, n. 7356).

Il committente di un intervento edilizio, inoltre, risponde personalmente allorché l’appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore dei suoi ordini ed abbia agito quale nudusminister, limitandosi cioè ad attuare specifiche direttive del committente. Più precisamente, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, affinché il committente sia corresponsabile in solido con l’appaltatore, occorre che lo stesso abbia svolto in concreto un ruolo effettivo nella realizzazione dell’opera, ingerendosi attivamente nella costruzione ed impartendo precise e continue disposizioni all’appaltatore, così da renderlo “un mero esecutore dei suoi ordini” (Cass. civ. sez. I, 10 settembre 2002, n. 13158; Cass. civ. sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13003).

… o se ha svolto un’attività pericolosa

Ricostruito in questi termini il quadro giurisprudenziale delineatosi in tema di ripartizione della responsabilità tra committente ed appaltatore, il Tribunale ambrosiano ritiene che, nel caso in esame, non possa escludersi una responsabilità del committente per l’espletamento di attività pericolosa.

Come precisato dalla Cassazione, per attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c., si intendono, non solo quelle che tali sono qualificate dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, ma anche quelle altre che comportano la rilevante possibilità del verificarsi di un danno, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi usati (cfr., ex plurimisCass. civ. sez. III, 29 luglio 2015, n. 16052; Cass. civ. sez. III, 16 gennaio 2013, n. 919; Cass. civ. sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1954).

Più precisamente, l’attività è pericolosa non solo nel caso di danno che sia conseguenza di una azione, ma anche nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sarebbe stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza. Pertanto, di regola, l’attività edilizia, massimamente quando comporti rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree, non può non essere considerata attività pericolosa ai fini indicati dall’art. 2050 cod. civ. (Cass. civ. sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1954).

Demolizione con il martello pneumatico: risponde anche il committente

Nella fattispecie, la disposta consulenza tecnica d’ufficio ha accertato che le opere fatte eseguire dal committente hanno causato le lesioni riscontrate nell’immobile occupato dall’attore per le vibrazioni avvenute allorché sono stati demoliti i piani interrati del fabbricato confinante.

L’attività di demolizione è tra le più pericolose nel settore dell’edilizia e, poiché i danni hanno riguardato diversi immobili oltre a quello dell’attore, è evidente che l’impresa esecutrice dei lavori non abbia utilizzato e posto in essere gli opportuni accorgimenti tecnici per preservare le strutture presenti e, in relazione ai manufatti già esistenti, per preservare la loro integrità e realizzare le opere a regola d’arte.

Tanto più che, in presenza di unità immobiliari confinanti, sarebbe stato logico evitare modalità distruttive come quelle legate all’uso di martelli pneumatici, soprattutto in stabili ove le vibrazioni tendono a propagarsi, con immaginabili danni ai confinanti e alle stesse strutture del fabbricato interessato. Le stesse caratteristiche del mezzo usato imponevano, quindi, una particolare diligenza, proprio per la rilevante possibilità del verificarsi di un danno, come in effetti è avvenuto. In definitiva, il committente ha utilizzato un’impresa poco accorta ed ha lasciato utilizzare strumenti non consoni all’ambito cittadino e condominiale: ne discende una responsabilità solidale del committente e dell’appaltatore.

Ma l’attività pericolosa non è solo quella dell’appaltatore?

Diversamente dalla pronuncia in commento (e del filone al quale la stessa appartiene) alcune decisioni della Cassazione tendono a negare qualsiasi automatismo nell’estensione al committente di responsabilità tipicamente connesse all’attività ed all’ambito di competenza dell’appaltatore.

Ed infatti, è stato affermato che la particolare responsabilità prevista dall’art. 2050 c.c. incombe esclusivamente su chi esercita l’attività pericolosa e non anche su colui che tale attività ha affidato ad altri in base ad un rapporto che non determina un vincolo di subordinazione fra committente ed esecutore (così Cass. civ. sez. VI – 3, 5 luglio 2017, n. 16638): il committente, quindi, non può essere ritenuto responsabile ex art. 2050 c.c. per il carattere pericoloso dell’attività affidata all’appaltatore, in quanto tale norma si riferisce soltanto a chi esercita l’attività pericolosa (Cass. civ. sez. III, 20 aprile 2004, n. 7499).

Tribunale di Milano, sentenza 13 gennaio 2018, n. 279Tribunale di Milano, sentenza 13 gennaio 2018, n. 279

 

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