Furto di una cassaforte in appartamento, la responsabilità dell’architetto dopo averla fatta installare durante i lavori di ristrutturazione
Al contratto d’opera intellettuale avente ad oggetto la progettazione e la direzione dei lavori di ristrutturazione di un appartamento si applicano le norme di cui all’art. 1218 c.c. (al fine di valutare la sussistenza di responsabilità in capo al professionista) anche con riferimento al riparto dell’onere della prova. A stabilirlo è il Tribunale di Milano con sentenza del 25 febbraio 2020, n. 1780.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI: | |
Conformi: | Cass. civ. sez. II, 11 marzo 2019, n. 6917
Cass. civ. sez. III, ord., 21 giugno 2018, n. 16323 |
Difformi: | Non si rinvengono precedenti |
Il fatto
La sentenza in esame, resa dall’adito Tribunale di Milano, ha ad oggetto il tema della responsabilità professionale dell’architetto avuto particolare riguardo ad una vicenda inerente alla ristrutturazione di un appartamento.
La pretesa degli attori era di ottenere il risarcimento (tra l’altro) del danno subito in conseguenza del furto della loro cassaforte che, in tesi, al momento della esecuzione dei lavori (di cui l’architetto convenuto era progettista e direttore) non era stata correttamente installata senza che di ciò si avvedesse, per tempo, l’incaricato professionista.
La decisione del Tribunale di Milano
Sulla base dei tre seguenti, precisi, argomenti il Giudice milanese ritiene la condotta dell’architetto esente da responsabilità:
1) i produttori di cassette di sicurezza non indicano quali criteri tecnici vadano seguiti nell’installazione;
2) nel caso concreto la cassetta era stata sradicata dai ladri così rendendosi impossibile verificare quali tecniche erano state utilizzate per la sua installazione; 3) infine, l’immobile di proprietà degli attori per le sue modalità di costruzione non era favorevole all’incasso di casseforti. |
La sentenza in esame permette poi alcune riflessioni sulla responsabilità del professionista (con particolare riguardo al cd. professionista tecnico) considerando come se da un lato le obbligazioni inerenti all’esercizio di una attività professionale sono solitamente riconducibili ad ipotesi di obbligazioni di mezzi e non di risultato (ciò nei limiti in cui oggi si possa ritenere tale partizione ancora operativa), dall’altro lato, in diverse ipotesi il professionista si impegna a realizzare una determinata opera (ed è il caso – tra gli altri – degli ingegneri e degli architetti).
Dall’impianto normativo del codice civile emerge, per quanto concerne l’adempimento in generale delle obbligazioni, che, nel caso in cui l’obbligato sia un professionista, egli è tenuto ad una peculiare diligenza professionale (la diligenza qualificata ex art. 1176 c.c., comma 2); il che non solo regola obbligazioni contrattuali, ma si riverbera anche sulle obbligazioni derivanti da fatto illecito (artt. 1173 e 2043 c.c.), laddove la carenza della diligenza imprime di colpa il fatto (Cass. civ. sez. III, 13 novembre 2018, n. 29029).
In diverse occasioni la giurisprudenza ha espresso l’orientamento per cui l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria ha oggetto un risultato ben definito, e cioè a dire la sua assentibilità (Cass. civ. sez. II, 19 luglio 1993, n. 8033).
L’irrealizzabilità del progetto – integrando quest’ultima circostanza una ipotesi di grave inadempienza rispetto all’obbligo assunto nei confronti del committente – comporta, per il professionista, la perdita del diritto al compenso, in applicazione del principio inadimplenti non est adimplendum (fatta salva la risarcibilità secondo i criteri generali del danno eventualmente cagionato). Si è osservato:
– «l’esecuzione di un progetto da parte di un ingegnere o di un architetto rientra, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza di questa corte (…) nell’ambito delle obbligazioni (non di mezzi ma) di risultato e l’esistenza di difformità o vizi nell’opera eseguita dà luogo alla relativa garanzia da farsi valere, da parte del committente, nei termini (di decadenza e di prescrizione) previsti dall’art. 2226 c.c. Il committente convenuto per il pagamento può contrastare la pretesa del professionista, adducendo l’esistenza di vizi o difformità nell’opera realizzata; tale contestazione concreta un’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), la quale è un’eccezione in senso sostanziale, rimessa all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice» (Cass. civ. sez. I, 27 febbraio 1996, n. 1530);
– «l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria o di architettura, pur avendo per oggetto una prestazione d’opera professionale, costituisce, peraltro, una obbligazione di risultato, in quanto se è vero che il progetto, sino a quando non sarà realizzato materialmente, rappresenta soltanto, sul piano pratico, una fase preparatoria, strumentalmente preordinata come mezzo a fine all’attuazione dell’opera che dovrà essere creata materialmente, è anche vero che, attraverso il progetto, e sempre che esso sia tecnicamente perfetto, si perviene, anche prima della sua concreta attuazione, ad un risultato, autonomamente valutabile dal punto di vista tecnico e giuridico, quale è quello di assicurare la preventiva e corretta soluzione dei numerosi problemi che devono necessariamente precedere e che condizionano la realizzazione dell’opera richiesta dal committente» (Cass. civ. sez. I, 2 febbraio 2007, n. 2257).
In definitiva, il progettista, in conseguenza della sua errata progettazione, può essere chiamato a rispondere dei costi della progettazione e della realizzazione dell’opera che ha effettivamente progettato, del risarcimento dei danni a terzi eventualmente provocati dall’opera realizzata non a regola d’arte in conformità dell’errore nella progettazione (siano essi terzi estranei o lo stesso committente), ma non anche dei diversi costi di esecuzione dell’opera a regola d’arte, perchè ciò non costituisce oggetto della prestazione pattuita, nè è un danno conseguente all’illecito (Cass. civ., sez. III, ord., 21 giugno 2018, n. 16323).
È poi indirizzo pacifico in giurisprudenza quello secondo cui la responsabilità contrattuale dell’appaltatore nei confronti del committente è compatibile con l’affermazione – tanto in via autonoma, quanto in sede di eventuale rivalsa – di un’analoga responsabilità verso l’appaltatore in capo ai soggetti cui l’opera sia stata dallo stesso subappaltata (art. 1670 c.c.) ovvero che, rispetto a tale opera, abbiano svolto, su suo incarico, l’attività di progettista e di direttore dei lavori, tutte le volte in cui il Giudice di merito accerti, in fatto, che i vizi o i difetti dell’opera, previsti dagli artt. 1667 e 1669 c.c., siano imputabili alle loro inadempienze verso l’appaltatore (Cass. civ., sez. II, 17 dicembre 2019, n. 33422).
E così, se dall’edificazione di una costruzione in violazione delle norme sulle distanze legali sia derivato l’obbligo del committente della riduzione in pristino, sussiste il diritto di rivalsa del committente nei confronti del progettista e del direttore dei lavori, qualora l’irregolare ubicazione della costruzione sia conforme al progetto, in quanto il fatto illecito, consistente nella realizzazione di un edificio in violazione delle distanze legali rispetto al fondo del vicino, è legato da un nesso causale con il comportamento del professionista che ha predisposto il progetto e diretto i lavori (Cass. civ. sez. II, 11 marzo 2019, n. 6917).
Si consideri ancora che: «l’appaltatore risponde per i difetti della costruzione derivanti (pure) da vizi della cosa anche laddove gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente, in tal caso prospettandosi l’ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d’opera professionale ex art. 2235 c.c. (…).
Ove l’appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l’obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi (…). La maggiore specificazione del contenuto dell’obbligazione non esclude infatti, come posto in rilievo in dottrina, la rilevanza della diligenza come criterio determinativo della prestazione per guanto attiene agli aspetti dell’adempimento» (Cass. civ. sez. III, 15 giugno 2018, n. 15732).
Riferimenti normativi:
Art. 1176 c.c., comma 2, c.c.
Art. 1173 c.c.
Art. 1218 c.c.
Art. 1460 c.c.
Art. 1670 c.c
Art. 2043 c.c.
Art. 2226 c.c.
Art. 2235 c.c.
Tribunale di Milano, sentenza 25 febbraio 2020, n. 1780
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