Nell’ambito della normativa del codice civile finalizzata a regolamentare il condominio e, segnatamente, le innovazioni si fa riferimento al concetto di decoro architettonico dell’edificio che, ai sensi dell’art. 1120 IV comma c.c., rappresenta il limite invalicabile alle opere eseguibili dai condomini sul bene comune.

A mancare è però, una precisa definizione di questo bene immateriale. A colmare la lacuna del codice civile è intervenuta la Corte di Cassazione (sent. n. 851/2007) statuendo che il decoro architettonico deve essere inteso come “l’estetica del fabbricato, data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità”.

Esso è, dunque, in sostanza un bene comune la cui lesione deve essere connaturata al complessivo deprezzamento dell’edificio (Cass. n.1286/2010) che deve essere apprezzabile traducendosi “in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l’innovazione viene posta in essere” (Cass. 25 gennaio 2010 n. 1286).

La valutazione in merito alla sussistenza in concreto della lesione può essere solo effettuata dal giudice il quale dovrà considerare nel suo giudizio “le condizioni nelle quali versava l’edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l’ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori” (Cass. 11177/2017).

Tali principi sono di grande attualità e conservano la loro efficacia anche nel caso di interventi realizzati con finalità di efficientamento energetico in attuazione degli obiettivi più generali della transizione green espressamente contenuti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il caso più emblematico di innovazione che, in tal senso, può ledere il decoro architettonico dell’edificio è il cappotto termico.

Esso, infatti, sebbene debba essere considerato strumento indispensabile per il concreto raggiungimento degli obiettivi di riqualificazione energetica fissati nel pacchetto Fit For 55 di matrice europea, per le concrete modalità realizzative, consistenti nella sovrapposizione di più strati isolanti sulla facciata esterna del fabbricato, ben può essere in grado di incidere, modificandole profondamente (e non sempre in senso migliorativo) sulle linee architettoniche che caratterizzano l’edificio sul quale viene installato, riducendo, altresì, nei casi più invasivi, in maniera sensibile, il piano di calpestio dei balconi privati.

Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con la recente ordinanza 22/06/2023 n.17920 in cui ha espressamente ribadito che anche il cappotto termico, finalizzato al contenimento della dispersione tecnica dell’edificio deve sempre essere realizzato rispettando il decoro architettonico dell’edificio e con il consenso di tutti gli altri soggetti interessati alla conservazione di quel particolare bene immateriale che è costituito dall’estetica del fabbricato.

 

 

Avv. TOMMASO GASPARRO

– Studio Legale Associato Cardarella – Gasparro – via Pordenone, 13 -20132 Milano – tel. 02.89760067 segreteria@acglawyers.eu.

Skype: Tommaso Gasparro

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