La certificazione sulla stabilità della fondazione non attenua la responsabilità dell’appaltatore

La certificazione sulla stabilità della fondazione non attenua la responsabilità dell’appaltatore

La certificazione sulla stabilità della fondazione non attenua la responsabilità dell’appaltatore

Secondo la Cassazione, ordinanza 1 ottobre 2019, n. 24466, l’obbligo dell’appaltatore di verificare la validità tecnica del progetto fornitogli dal committente non si attenua in presenza di certificazioni qualificate sulla fattibilità dell’opera, giacché la presenza di tali certificazioni non modifica la natura dell’obbligazione dell’appaltatore come obbligazione di risultato, salvo l’apprezzamento che, in concreto, l’errore progettuale non sia palese e la relativa rilevazione esuli dalle cognizioni dell’appaltatore.

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI:
Conformi: Cass. civ. sez. I, 9 ottobre 2017, n. 23594
Difformi: Non si rinvengono precedenti

RE, quale titolare dell’omonima impresa edile, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con cui la Corte d’Appello di Ancona, accogliendo parzialmente l’appello da lui avanzato contro la sentenza di primo grado del tribunale di Fermo, l’ha condannato a pagare la sorte capitale di € 94.000 in favore degli eredi di PN a titolo di risarcimento dei danni conseguenti ad errori progettuali e a cattiva esecuzione di lavori di restauro di un immobile rimasto danneggiato dal terremoto del 1997, che la stessa PN gli aveva appaltato.

In particolare, con il quinto motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1669 e 1227 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando la circostanza che la stabilità dell’area di fondazione aveva fatto oggetto di apposita certificazione (allegata dalla stessa committente alla richiesta di concessione edilizia); circostanza che, si argomenta nel mezzo di gravame, avrebbe dovuto indurre la corte territoriale ad escludere qualunque responsabilità dell’appaltatore o, quanto meno, a riconoscere un concorso di colpa della committente.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che non merita condivisione l’assunto secondo cui l’obbligo dell’appaltatore di verificare la validità tecnica del progetto fornitogli dal committente si attenuerebbe in presenza di certificazioni qualificate sulla fattibilità dell’opera, giacché la presenza di tali certificazioni non modifica la natura dell’obbligazione dell’appaltatore come obbligazione di risultato, salvo l’apprezzamento che, in concreto, l’errore progettuale non sia palese e la relativa rilevazione esuli dalle cognizioni dell’appaltatore.

E’ stato, infatti, affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudusminister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per concorso di esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

Esito del ricorso

Rigetto

Riferimenti normativi

Art. 1227 c.c.

Art. 1669 c.c.

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 1 ottobre 2019, n. 24466

 

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