Nel condominio “contabilizzato” il distaccato non è esonerato dalla quota fissa

Nel condominio “contabilizzato” il distaccato non è esonerato dalla quota fissa

Nel condominio “contabilizzato” il distaccato non è esonerato dalla quota fissa

Il D.Lgs. n. 102/14 (attuativo della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica) ha imposto l’obbligo dell’adozione di sistemi di contabilizzazione e termoregolazione del calore nei caseggiati con impianto di riscaldamento centralizzato e la ripartizione delle spese a consumo che si compone di una quota variabile dipendente dalla volontà del singolo condomino e di una più modesta quota fissa involontaria (corrispondente sostanzialmente dalle dispersioni dell’impianto). La normativa di cui al D. Lgs 102/2014, però, anche dopo le modifiche introdotte dal Dlgs. 141/2016 (entrato in vigore il 26/07/2016), non affronta il problema delle spese da attribuire ai distaccati che, secondo la giurisprudenza di merito più recente, devono comunque continuare a sostenere gli oneri relativi al calore disperso dalle reti di distribuzione (c.d. quota fissa involontaria). E’ quanto si legge nella sentenza del Tribunale di Savona dell’8 febbraio 2019, n. 111.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi: Trib. Roma 8 aprile 2019, n. 7568

Trib. Savona 3 maggio 2018, n. 502

Trib. Savona 19 giugno 2017, n. 12352

Trib. Roma 11 ottobre 2016, n. 18748

Trib. Genova 30 settembre 2016, n. 2955

Trib. Firenze 19 febbraio 2015, n. 535

Difformi: Non risultano decisioni difformi

Il Tribunale di Savona, con sentenza 8 febbraio 2019 n. 111, ha precisato che anche il condomino che si è distaccato è tenuto a pagare le spese relative ai consumi involontari collegati alla dispersione dell’impianto centralizzato, soluzione da ritenersi consentita dall’art. 9 del D.Lgs. n. 102 del 2014 e assolutamente ragionevole, ove si consideri, da un lato, che anche coloro che non scaldano la propria abitazione beneficiano di fatto degli effetti della dispersione del calore erogato negli appartamenti confinati e d’altro lato, che la messa ed il mantenimento in funzione dell’impianto centralizzato comporta l’immissione di acqua calda non solo nelle tubazioni e nei radiatori interni agli appartamenti ma anche nelle tubazioni condominiali.

Fatto e decisione

Una condomina si distaccava dall’impianto di riscaldamento di un caseggiato. Successivamente gli altri condomini decidevano di passare ad un sistema di contabilizzazione termoregolazione del calore, stabilendo di ripartire le spese di riscaldamento per il 75% a quota variabile, secondo i consumi registrati dalle valvole termostatiche e per il 25% a quota fissa a carico di tutti i condòmini in ragione dei millesimi, compresa la condomina distaccata. Quest’ultima impugnava la delibera condominiale nella quale le venivano addebitati la quota fissa di spese di consumo del riscaldamento ed il compenso per l’ingegnere deputato all’accertamento di tali spese, osservando, inoltre, come la delibera fosse stata assunta senza rispettare il termine di convocazione di cinque giorni prima dell’assemblea.

Il condominio si costituiva in giudizio, evidenziando che la problematica era già stata affrontata in un altro giudizio, relativo all’impugnazione di altre delibere, all’esito del quale era stata riconosciuta la legittimità del criterio di riparto adottato dal condominio convenuto, sostenendo, inoltre, la tardività dell’impugnazione della delibera, dal momento che la stessa era stata proposta oltre i termini.

Il Tribunale, proprio tenendo conto delle decisioni adottate in casi analoghi, ha respinto le domande della condomina distaccata, sottolineando come una quota parte delle spese di riscaldamento sostenuta dai condomini serve solo per compensare le dispersioni di calore che normalmente si verificano nell’impianto centrale; tale quota, tenendo conto l’art. 9 del D.Lgs. n. 102 del 2014, deve essere ripartita tra tutti i condòmini, indipendentemente dall’effettivo utilizzo dell’impianto centralizzato. In caso contrario – come sottolinea lo stesso Tribunale – si avrebbe un pregiudizio economico per i condomini rimasti allacciati in quanto da un lato anche coloro che non scaldano la propria unità beneficiano di fatto degli effetti della dispersione del calore erogato nelle unità contigue e, d’altro lato, la messa ed il mantenimento in funzione dell’impianto centralizzato comporta l’immissione di acqua calda non solo nelle tubazioni e nei radiatori interni alle unità immobiliari ma anche nelle tubazioni comuni.

Le condizioni per il distacco dall’impianto centrale

Per comprendere la decisione del Tribunale di Savona bisogna considerare che, secondo l’ultimo comma dell’articolo 1118 c.c., il distacco del singolo condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento è possibile se non determina notevoli squilibri di funzionamento.

Tuttavia, per “squilibrio termico” non deve intendersi la possibile differente temperatura nell’appartamento distaccato in quanto, in ogni caso, anche senza distaccarsi il proprietario potrebbe sempre semplicemente chiudere i propri radiatori.

Se così non fosse quel distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato ammesso in linea di principio sarebbe sempre da escludere in concreto, in quanto nell’ambito di un condominio ogni unità immobiliare confina con almeno un’altra unità immobiliare, per cui il distacco dall’impianto centralizzato da parte di uno dei condomini provocherebbe sempre quel tipo di squilibrio termico che, invece, deve essere considerato irrilevante (Cass. 27 maggio 2011 n. 11857).

Per quanto attiene al requisito dello “squilibrio termico di funzionamento”, quindi, si deve intendere che esso faccia riferimento allo squilibrio impiantistico e non a quello termico dovuto alle differenze di temperature all’interno degli appartamenti.

In ogni caso deve essere “notevole”, situazione che ricorre quando sono esaurite tutte le possibili azioni correttive sull’impianto e non si può procedere ad ulteriori adattamenti senza che ne conseguano malfunzionamenti evidenti.

A quanto sopra si deve aggiungere che il condomino che intende distaccarsi deve provare, attraverso idonea documentazione tecnica, oltre alla mancanza di “notevoli squilibri” tecnici, l’assenza di aggravi per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale (Cass. 3 novembre 2016, n. 22285).

Nel concetto di “aggravio di spesa” deve essere compresa quella spesa di godimento ignorata dall’ultimo comma dell’articolo 1118 c.c. e, in particolare, quella per l’energia prodotta e non utilizzata (le dispersioni di calore).

Infatti, merita di essere sottolineato come non tutto il combustibile bruciato venga convertito in calore negli appartamenti serviti ma una parte venga, appunto, sprecata per inevitabili processi dissipativi nelle varie sezioni dell’impianto.

Norma Uni 10200 e quota a carico dei distaccati

A seguito dell’adozione dei sistemi di contabilizzazione e termoregolazione vi sono due diverse modalità per la ripartizione della spesa del riscaldamento.

La prima – come risulta dal rinvio fatto dall’articolo 9, comma 5, lettera d) del Dlgs. 102/2014 – è quella contenuta nella norma Uni 10200 che lega il costo del servizio riscaldamento agli effettivi consumi di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto.

Applicando la norma Uni 10200, la spesa totale per il servizio di riscaldamento è data dalla somma di una quota di consumo e una quota per “potenza termica impegnata”.

La quota a consumo è legata al prelievo di calore volontario dell’appartamento ed è sostanzialmente determinata dal livello di temperatura mantenuto nell’appartamento dal singolo condomino (cioè dalla regolazione delle termovalvole) ma anche dalla dispersione termica dell’unità immobiliare (cioè dal livello di isolamento termico e dal tipo di serramenti installati), dagli apporti solari e dalle abitudini degli occupanti.

In base a questa, ciascun condomino/conduttore è tenuto a pagare solo quella parte di calore che preleva dai propri termosifoni.

Di conseguenza, in caso di rinuncia al riscaldamento centralizzato da parte del singolo condomino questa quota è nulla.

La quota per potenza termica impegnata – che deve essere determinata da un tecnico – è invece legata al consumo involontario cioè sostanzialmente (ma non solo) alle dispersioni dell’impianto.

Deve essere quindi determinata dal tecnico incaricato dal condominio la quantità ideale di energia che ogni singola unità immobiliare potrebbe prelevare per mantenere 20°C di temperatura ambiente interno dall’inizio a fine stagione di riscaldamento, determinabile tramite un calcolo tecnico previsto da specifiche indicazioni tecniche.

Questo calcolo comporta la creazione di una tabella di fabbisogno per ripartire la spesa per il consumo involontario (espressa in millesimi di fabbisogno calore) nella quale dovrà essere prevista anche una quota relativa all’unità immobiliare del distaccato.

La norma Uni prevede, infatti, che le spese delle perdite di calore delle reti siano divise in modo proporzionale al fabbisogno di energia di ogni singolo alloggio, indipendentemente dal fatto che il condomino attinga o meno calore.

Del resto – come recisa il Tribunale di Savona – anche il condomino distaccato deve continuare a contribuire alle spese per i consumi involontari, dal momento che, altrimenti, vi sarebbe un incremento della spesa ordinaria di funzionamento dell’impianto a carico degli altri condomini (cioè un aggravio di spesa), situazione che renderebbe illecito il distacco.

In ogni caso questa nuova disciplina sulla ripartizione delle spese del riscaldamento prevista dal D.Lgs. n. 102/2014, in considerazione della palese finalità pubblicistica, rappresenta una normativa imperativa vincolante e inderogabile.

Di conseguenza eventuali accordi pregressi sulle spese (non basati sul consumo effettivamente registrato) conclusi con il distaccato dall’assemblea o previsti dal regolamento o imposti da una sentenza passata, sono destinati ad essere travolti dal nuovo criterio di ripartizione imposto dal legislatore europeo.

Criterio ex D.Lgs. n. 141/2016 e quota dei distaccati

Nel caso in cui la norma Uni 10200 non sia applicabile o benché applicabile, siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio (o l’edificio polifunzionale) superiori al 50 per cento, l’assemblea (con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi) potrà decidere se applicare o meno la norma Uni 10200.

Qualora si voglia seguire questo criterio è possibile suddividere l’importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica.

Gli importi rimanenti (cioè i consumi involontari) vengono predeterminati dal legislatore nella misura del trenta per cento della spesa complessiva, percentuale che può essere ridotta dalla collettività condominiale fino ad arrivare all’un per cento degli oneri del riscaldamento centralizzato (ma non può essere totalmente eliminata).

La differenza sostanziale rispetto all’applicazione della Uni 10200 consiste nella non necessità di provvedere al calcolo di una nuova tabella millesimale.

Come precisa infatti il nuovo art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 102/2014, lettera d), come modificato dal D.Lgs. n. 141/2016 (entrato in vigore il 26/07/2016), i consumi involontari possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate.

Di conseguenza i distaccati potranno contribuire alle spese relative alle dispersioni della rete e alla gestione del servizio riscaldamento (escluso quelle per gestione del servizio di contabilizzazione del calore) utilizzando le quote delle “vecchie” tabelle millesimali.

Mentre nei condomini ove alla data di entrata in vigore delle modifiche al decreto 102/2014, si sia già provveduto alla suddivisione delle spese secondo la norma Uni 10200, il nuovo possibile criterio è facoltativo.

In ogni caso è stata confermata la possibilità, per la prima stagione termica successiva all’installazione dei dispositivi di cui al comma 5 dell’articolo 9, che la suddivisione si determini in base ai soli millesimi di proprietà.

Non è pertanto possibile utilizzare altri criteri quali, ad esempio, la precedente tabella del riscaldamento.

Le altre spese che rimangono a carico del distaccato.

Merita infine di essere ricordato che i distaccati sono comunque tenuti a pagare le spese di manutenzione straordinaria (cioè gli interventi atti a ricondurre il funzionamento dell’impianto a quello previsto dal progetto e/o dalla normativa vigente mediante il ricorso, in tutto o in parte, a mezzi, attrezzature, strumentazioni, riparazioni, ricambi di parti, ripristini, revisione o sostituzione di apparecchi o componenti dell’impianto termico), le spese di conservazione (relative alle operazioni previste nei libretti d’uso e manutenzione degli apparecchi e componenti che possono essere effettuate in luogo con strumenti ed attrezzature di corredo agli apparecchi e componenti stessi e che comportino l’impiego di attrezzature e di materiali di consumo d’uso corrente), le spese per la “messa a norma” (come tutte quelle spese afferenti le opere necessarie per l’adozione della termoregolazione e dei sistemi di contabilizzazione, cioè progettista, eventuale direttore lavori, tecnico per i calcoli ai sensi della 10200, opere in centrale termica ecc.).

Tribunale di Savona, sentenza 8 febbraio 2019, n. 111

 

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