Omesso versamento IVA: ne rispondono tutti i componenti del c.d.a. della S.r.l.

Con la sentenza n. 34475/2020, la Cassazione ha affermato in relazione ai reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 che il potere dovere di provvedere agli obblighi fiscali penalmente sanzionati fa capo all’amministratore in carica dell’ente al momento della scadenza del termine di adempimento. Qualora figurino più amministratori di una S.r.l. come nel caso di specie, sono tutti penalmente responsabili in caso di omesso versamento delle imposte dovute indipendentemente dal riparto interno delle competenze, trattandosi di reati omissivi propri. Peraltro, l’adempimento delle incombenze fiscali è un atto di ordinaria amministrazione, espletabile da ciascun componente del c.d.a autonomamente e indipendentemente dagli altri. Da ultimo, la Suprema Corte ha sottolineato la legittimità della confisca per equivalente dei beni personali degli amministratori nei limiti del valore del profitto del reato, ove questi non indichino beni nella disponibilità dell’ente da aggredire con la confisca diretta e il patrimonio della società sia incapiente.

Il caso

Con sentenza la Corte d’appello di G. ha confermato nei confronti di PR, PB e US la decisione di condanna di seconde cure alle pene di legge con confisca per equivalente del profitto in ordine ai reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 per aver omesso il versamento delle ritenute certificate e dell’Iva in relazione a vari anni di imposta secondo le differenti contestazioni mosse ad ognuno.

Avverso la predetta pronuncia, i tre imputati hanno presentato distinti ricorsi per cassazione. In particolare, PR ha censurato la sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando di essere stato ritenuto responsabile del reato di omesso versamento dell’Iva in relazione all’anno 2012 a titolo di responsabilità oggettiva con illecita inversione dell’onere della prova a suo carico in considerazione del ruolo di vice presidente della FGT S.r.l. all’epoca dei fatti, seppur la carica ricoperta fosse stata solo formale ed estranea alle questioni fiscali. Proseguendo, EB ha contestato la violazione dell’art. 110 c.p. e la mancanza di motivazione per l’affermata responsabilità nel delitto di omesso versamento dell’Iva, sebbene non si fosse occupato degli adempimenti fiscali dell’ente e la dichiarazione fiscale fosse stata sottoscritta solo dal presidente del c.d.a. della FGT S.r.l., US. Ed ancora, l’imputato ha censurato la determinazione del trattamento sanzionatorio e l’irrogazione della confisca per equivalente in assenza del previo accertamento dell’impossibilità di eseguire la confisca diretta del profitto verso la società. Da ultimo, US ha eccepito la violazione degli artt. 132 e 133 c.p. e il vizio di motivazione per essere stato confermato il trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado, nonostante le specifiche censure sollevate sul punto con l’atto di appello contro la pronuncia di prime cure. Ulteriormente, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 12 bis d.lgs. 74/2000, poiché non è stata accertata l’incapienza del patrimonio della società prima di disporre la confisca per equivalente nei suoi confronti.

Sulla responsabilità per reati tributari degli amministratori della S.r.l.

La Cassazione ha dichiarato inammissibili per genericità e manifesta infondatezza i ricorsi presentati da PR e EB.

In conformità all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, la Cassazione ha precisato che il potere dovere di provvedere agli obblighi fiscali penalmente sanzionati incombe all’interno delle società in capo all’amministratore in carica al momento della scadenza del termine di adempimento indipendentemente da chi abbia presentato o sottoscritto la dichiarazione fiscale (Cass. pen. sez. III, 29-03-2017, n. 46459). A tal fine, è indifferente che l’amministratore di diritto sia un mero prestanome di altri soggetti, poichè l’accettazione della carica determina l’insorgenza di obblighi di vigilanza e di controllo sulla corretta gestione degli affari sociali con corrispondente responsabilità anche penale a titolo di dolo generico o eventuale in caso di inadempimento delle incombenze fiscali (Cass. pen. sez. III, 5-12-2013, n. 7770; Cass. pen. Sez. III, 19-09-2013, n. 14432). Ne deriva che le conseguenze dei delitti di omesso versamento delle ritenute certificate di cui all’art. 10 bis e di omesso versamento dell’Iva di cui all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 ricadono in capo al rappresentante legale dell’ente.

Qualora gli amministratori di diritto siano diversi, devono ritenersi tutti egualmente destinatari degli obblighi fiscali penalmente sanzionati, fatte salve diverse disposizioni dell’atto costitutivo o dell’atto di nomina. In relazione ai reati tributari omissivi, la Suprema Corte ha ribadito che i componenti del consiglio di amministrazione di una S.r.l. sono tutti chiamati a rispondere non per fatto altrui di cui all’art. 40 cpv c.p. bensì per fatto proprio dell’adempimento delle incombenze fiscali, essendo diretti destinatari dei precetti penali. Nell’ambito delle società a responsabilità limitata, va poi opportunamente chiarito che ciascun amministratore è autonomamente in grado di porre in essere gli atti estintivi delle obbligazioni facenti capo alla società, spettando il potere di rappresentanza generale a tutti gli amministratori anche disgiuntamente ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2475 e 2475 bis c.c. Peraltro, il pagamento delle imposte dovute può essere espletato da ciascun componente del c.d.a., essendo un atto di ordinaria amministrazione e risultando irrilevante all’esterno il riparto interno delle competenze tra i vari componenti del c.d.a. della S.r.l. ai sensi dell’art. 2475 bis c.c. (Cass. pen. sez. III, 23-01-2018, n. 2741).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha evidenziato che i due ricorrenti, PR e PB, rivestivano all’epoca dei fatti rispettivamente la carica di vice presidente del c.d.a. e amministratore delegato della FGT S.r.l. con conseguente titolarità ex lege dei poteri di gestione di cui all’art. 2475 c.c. in difetto di disposizioni di segno contrario negli atti societari. Ed ancora, è emerso che gli imputati fossero titolari di deleghe disgiunte con oggetto estremamente ampio, comprensive non solo degli ordinari poteri di rappresentanza negoziale e giudiziale della società ma anche dei poteri di spesa a firma singola senza limiti. I giudici di merito hanno altresì sottolineato che i due imputati non fossero inconsapevoli delle condizioni economiche della società e della scelta definita “strategica” di omettere il pagamento delle imposte dovute, essendosi trattato di omissioni reiterate nel tempo e consistenti nell’importo.

Alla luce di quanto suesposto, gli omessi versamenti delle ritenute certificate e dell’Iva non sono stati addebitati solo al presidente del c.d.a. della FGT S.r.l., in qualità di responsabile degli adempimenti fiscali della FGT S.r.l. e di firmatario della dichiarazione fiscale presentata all’Erario, ma anche agli altri due citati membri del c.d.a.

Con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio censurata da PB e US, i giudici di legittimità hanno richiamato il costante principio per cui la fissazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, insindacabili in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivati (Cass. pen. sez. IV, 5-11-2015, n. 46412; Cass. pen. sez. IV, 20-03-2014, n. 21294).

Giova però sottolineare un distinguo in punto di quantificazione della pena. Da una parte, si ritiene solitamente sufficiente il richiamo all’art. 133 c.p. e al criterio dell’adeguatezza nel caso di individuazione di un trattamento sanzionatorio prossimo al minimo edittale. Dall’altra, occorre un apparato argomentativo più solido in caso di fissazione della pena vicina al massimo edittale. Nella vicenda in esame, la Cassazione ha disatteso e considerato infondate le doglianze dei ricorrenti, poiché la sentenza impugnata ha dato logicamente conto dell’applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. sulla gravità del reato e sulla capacità a delinquere del reo, valorizzando l’entità notevolmente elevata degli omessi versamenti e le personalità degli imputati nonché il parziale pagamento dell’obbligazione tributaria per la concessione delle attenuanti generiche.

Sulla confisca per equivalente dei beni personali dell’amministratore dell’ente

La Cassazione ha ritenuto infondati anche il secondo motivo del ricorso di SU e il terzo motivo di gravame di B.

In via preliminare, bisogna sottolineare che la confisca dei beni costituenti il profitto o il prezzo della commissione di un reato tributario deve essere sempre disposta in caso tanto di condanna quanto di applicazione della pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 c.p.p. ai sensi dell’art. 12 bis d.lgs. 74/2000. Quest’ultima norma si pone in continuità con la previgente fattispecie di cui all’art. 322 ter c.p., richiamata dall’art. 1, comma 143, l. 244/2007 e abrogata dall’art. 14 d.lgs. 158/2015. La finalità della misura ablatoria è quella di sottrarre all’autore del reato ogni utilità e qualunque beneficio economico eventualmente tratto dalla sua commissione anche a fronte dell’inaggredibilità dell’oggetto principale dell’illecito nell’ottica dissuasiva e disincentivante per cui il crimine non paga. Consolidato è l’orientamento che assimila la confisca per equivalente ad una sanzione penale, non essendo commisurata né alla colpevolezza dell’autore del reato né alla gravità della condotta (Cass. pen. sez. III, 9-10-2013, n. 44445). L’applicazione della confisca non deve poi essere necessariamente preceduta dalla misura cautelare del sequestro e dall’individuazione preventiva da parte del giudice della cognizione dei criteri di selezione dei beni da apprendere, poiché il destinatario può comunque rivolgersi al giudice dell’esecuzione ove si ritenga leso dai criteri predisposti dal Pm (Cass. pen. sez. V, 2-12-2014, n. 9738). Fatta salva la regola generale per cui non può essere irrogata la confisca per equivalente sui beni della società, questa può essere derogata là ove si dimostri che l’ente costituisca uno schermo fittizio nella disponibilità dell’amministratore autore del reato (Cass. pen. sez. III, 6-03-2014, n. 18311). In tema di reati tributari, l’applicazione della confisca per equivalente nei confronti dei beni del rappresentante legale è subordinata all’impossibilità di aggredire in via diretta il profitto o il prezzo del reato nei limiti del valore di questi ultimi (Cass. pen. sez. III, 2-02-2018, n. 2039; Cass. pen. sez. III, 24-01-2018, n. 10418). Ne deriva che è legittima l’ablazione dei beni personali dell’amministratore responsabile dell’illecito, allorquando risulti impossibile reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente e il soggetto non indichi i beni provento del delitto nella disponibilità della società. Nel caso di specie, la Cassazione ha escluso violazioni di legge sull’assunto per cui la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era da intendersi in subordine a quella diretta verso la società. Peraltro, la legittimità della misura ablatoria di valore derivava dall’inesistenza di beni nel patrimonio di FGT S.r.l. che è stata messa in liquidazione dopo la commissione dei reati per cui si procedeva.

Esito:

rigetto

Riferimenti normativi:

Art. 10 bis, d.lgs. 74/2000

Art. 10 ter, d.lgs. 74/2000

Art. 12 bis, d.lgs. 74/2000

Art. 133, c.p.

Cassazione penale, Sez. III, sentenza 3 dicembre 2020, n. 34475

 

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