Rilascio del permesso di costruire: quali gli obblighi del Comune?
Il permesso di costruire può essere rilasciato unicamente al proprietario dell’immobile o a chi ha a titolo per richiederlo e, quindi, il Comune ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 3 febbraio 2020, n. 865
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Tar Puglia, Bari, sez. III, 7 ottobre 2019, n. 1274
Tar Puglia, Lecce, sez. II, 5 agosto 2019, n. 1401 |
Difformi | Non si rilevano precedenti |
Il fatto
Il Consiglio di Stato, adito per la riforma della sentenza del Tar Calabria, 12 aprile 2019, n. 788, interviene in tema di abusivismo edilizio (nel merito è fatta richiesta di una concessione in sanatoria) e pone l’attenzione dell’interprete sul comportamento che la P.A. (il Comune) deve tenere nel rilasciare il titolo abilitativo quando la situazione dominicale sia tutt’altro che pacifica.
La decisione del Consiglio di Stato
Il quadro normativo di riferimento è rappresentato dall’art. 11, I, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 secondo cui “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
La norma citata “presuppone che il rilascio del permesso di costruire, e degli ulteriori titoli abilitativi in materia edilizia – tra i quali la D.I.A. – siano emanati in favore del proprietario dell’immobile, o a chi abbia titolo per richiederlo (anche il promissario acquirente di un immobile ha titolo a richiedere il p.d.c.)” (T.a.r. Puglia, Bari, sez. III, 7 ottobre 2019, n. 1274).
Orbene, da un lato, deve escludersi, ai sensi della più avvertita interpretazione della citata norma, la sussistenza dell’obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire puntualmente le vicende riguardanti la titolarità dei suoli (in tal senso dispone anche la sentenza qui in esame).
Il titolo edilizio, invero, è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a quell’attività, si pone in essere tra l’autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune (ex multis, T.a.r. Marche, Ancona, sez. I, 8 luglio 2019, n. 469; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1770).
Difatti, il rilascio del titolo edilizio abilitativo fa sempre salvi i diritti dei terzi, non potendo interferire nell’assetto dei rapporti fra privati; l’Amministrazione, in particolare, deve limitarsi ad effettuare un controllo generale di conformità del titolo che non può spingersi sino a penetranti analisi riguardo allo stesso (Consiglio di Stato sez. IV, 14/01/2019, n. 310; T.a.r. Puglia, Bari, sez. III, 6 dicembre 2019, n. 1617).
D’altro lato deve precisarsi che la stessa legittimazione a richiedere il permesso di costruire viene meno nel momento in cui, in seguito a vicende traslative del diritto di proprietà dell’immobile, il richiedente non possa più vantare alcun diritto dominicale sullo stesso (T.a.r. Calabria, Catanzaro, sez. II, 2 dicembre 2019, n. 1988).
Si è chiarito che il rinnovo del permesso di costruire, rilasciato ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380 del 2001 implica il rilascio di un nuovo e autonomo titolo edilizio in ordine al quale la P.A deve compiere gli accertamenti relativi alla verifica dei presupposti per il rilascio dell’atto di assenso edilizio (T.a.r. Campania, Napoli, sez. VIII, 6 febbraio 2019, n. 647).
In giurisprudenza è, quindi, pacifico che, dalla lettura delle norme contenute negli artt. 11, comma 1 e 36 D.P.R. n. 380 del 2001, nell’ottica della necessaria conformità degli interventi edilizi alla disciplina urbanistica, nell’esclusivo interesse pubblico ad una programmata e disciplinata trasformazione del territorio, l’impulso ad effettuare tale trasformazione debba provenire da un soggetto, che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene, anche nell’ambito di un rapporto di locazione (Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316).
Quanto alla necessità che sia chiara e incontestabile la proprietà dell’immobile sul quale è stato realizzato l’abuso, sembra opportuno sottolineare – come già detto – che il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) fa comunque salvi i diritti dei terzi e non interferisce, pertanto, nell’assetto dei rapporti fra privati, ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica, per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. Stato, Sez. IV, 5 giugno 2012 n. 3300, 4 aprile 2012 n. 1990, 16 marzo 2012 n. 1488).
Non appare casuale, tuttavia, che in materia di sanatoria la normativa di riferimento (art. 36 T.U. cit.) ammetta la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario, ma anche del responsabile dell’abuso, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale, ovvero chi abbia la disponibilità del bene, al momento dell’emissione della misura repressiva (ivi compresi, evidentemente, concessionari o conduttori dell’area interessata, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi – oltre che dei proprietari – nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi – Cons. Stato, Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614 e Cons. giust. amm. Sic. 29 luglio 1992 n. 229).
La relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria, rispetto al preventivo permesso di costruire, trova d’altra parte giustificazione nella possibilità da accordare al predetto responsabile – ove coincidente con l’esecutore materiale delle opere abusive – l’utilizzo di uno strumento giudiziario utile al fine di evitare le conseguenze penali dell’illecito commesso, ferma restando la salvezza dei diritti di terzi (Cons. Stato, sez. IV, 8 settembre 2015 n. 4176).
Con la formula utilizzata nella redazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 il legislatore ha voluto ricomprendere la legittimazione a chiedere la sanatoria in capo a più soggetti che, astrattamente, possono aver concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che non tutti, indifferenziatamente, possono richiedere, senza il consenso dell’effettivo titolare del bene sul quale insistono le opere (il quale potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla sua sanatoria), una concessione che potrebbe risolversi in danno dello stesso (T.a.r. Veneto, Venezia, sez. III, 14 novembre 2019, n. 1230).
Si è detto ancora in giurisprudenza:
– “conformemente a quanto previsto dall’art. 11 t.u. dell’edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001) …, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi, che peraltro può essere manifestato anche per fatti concludenti. Qualora vi sia un conclamato dissenso fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, l’amministrazione non può assentirlo, nonostante sia conforme agli strumenti urbanistici, mancando l’effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento” (TAR Trentino – Alto Adige, Trento, Sez. I, 19 giugno 2008 n. 152)” (Tar Puglia, Lecce, sez. II, 5 agosto 2019, n. 1401);
– “la consolidata giurisprudenza amministrativa, nell’interpretazione delle disposizioni in materia edilizia, sostiene che, al fine della legittimazione a chiedere la concessione edilizia, va utilizzato un criterio sostanziale e non meramente formale, in base al quale la legittimazione sussiste in capo a chi abbia, in concreto, la disponibilità dell’area (tra le varie, cfr. Cons. Stato 14 gennaio 2004, n. 6)” (Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2009, n. 23317). |
Riferimenti normativi:
D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 3 febbraio 2020, n. 865
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