“DPI”: il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere al lavaggio degli indumenti
La categoria dei DPI deve essere definita avendo riguardo alla “concreta finalizzazione” delle attrezzature, degli indumenti e dei complementi o accessori alla protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la sicurezza, tenuto conto della effettiva attività compiuta. Ne discende l’irrilevanza (ai fini qualificatori) del mancato inserimento dello specifico dispositivo di sicurezza tra quelli individuati dalla contrattazione collettiva o dal Documento Valutazione Rischi nonché della circostanza che l’attrezzatura non sia appositamente creata e commercializzata per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate. In alcuni casi gli indumenti costituiscono DPI con conseguente obbligo del datore di lavoro di provvedere al lavaggio ed alla manutenzione degli stessi (Cassazione civile, sezione Lavoro, ordinanza 16 dicembre 2019, n. 33133).
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI | |
Conformi | Cass. civ. n. 11139/1998
Cass. civ. n. 22929/2005 Cass. civ. n. 14712/2006 Cass. civ. n. 22049/2006 Cass. civ. n. 18573/2007 Cass. civ. n. 11729/2009 Cass. civ. n. 16495/2014 Cass. civ. n. 8585/2015 Cass. civ. n. 18674/2015 |
Difformi | Non si rinvengono precedenti |
Per stabilire se un indumento costituisca DPI occorre avere riguardo al caso concreto, alla specifica attività svolta dal lavoratore.
Nel settore della raccolta dei rifiuti è apprezzabile un maggior pericolo di infortuni legati al rischio infettivo, più esattamente un rischio da contatto con sostanze tossiche, nocive ed agenti biologici.
Gli indumenti di lavoro forniti dall’azienda agli operatori ecologici, comunque addetti alla raccolta dei rifiuti, costituiscono DPI in quando in concreto costituiscono una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore.
Ne discende l’obbligo per il datore di lavoro (ex art. 43, commi 3 e 4, D.Igs. n. 626/1994) di curare il lavaggio e la manutenzione dei ridetti indumenti, al fine di mantenerli idonei ed efficienti allo scopo che, nel caso di specie, è di prevenire l’insorgenza e la diffusione di infezioni.
Il giudice d’appello di Cagliari, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata da alcuni operatori ecologici che avevano curato in proprio il lavaggio degli indumenti di lavoro.
La Corte territoriale ha ritenuto l’insussistenza del diritto argomentando sulla definizione di D.P.I. data dall’art. 40 D. Lgs. n. 626/1994, applicabile ratione temporis (sostituito poi dall’art. 74, D.Igs. n. 81/2008, che ne ricalca interamente il testo) secondo cui “2. Non sono dispositivi di protezione individuale … gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore… ” e sul fatto che gli indumenti destinati agli operatori ecologici non fossero individuati tra i DPI (né dalla contrattazione integrativa né nel DVR) né formalmente qualificati come tali in quanto appositamente creati e commercializzati per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate.
Secondo la Corte di Cassazione detta interpretazione non può essere condivisa per diversi motivi.
Il Giudice di legittimità ha più volte precisato, come vi sia differenza tra indumenti di lavoro ordinari (in nessun modo correlati a finalità di protezione da un rischio per la salute) e indumenti di lavoro “specifici”, quest’ultimi aventi la funzione di tutelare l’integrità fisica del lavoratore e volti ad eliminare o quanto meno a ridurre i rischi connessi all’attività svolta in concreto, oppure a migliorare le condizioni igieniche in cui viene a trovarsi il lavoratore nello svolgimento delle sue incombenze, onde scongiurare il rischio potenziale di contrarre malattie, “come appunto deve reputarsi per la divisa dell’operatore ecologico“ (ex multis Cass. n. 11071 del 2008; Cass. n. 23314 del 2010). Gli indumenti di lavoro “specifici” rientrano tra i DPI.
La conclusione cui è giunta la Corte territoriale non può essere accolta anche argomentando sulle finalità della disciplina in esame, che risiedono nell’esigenza di tutela della salute, quale diritto fondamentale (art. 32 Cost.).
Stante la connessione teleologica alla tutela del bene primario suddetto e considerata l’ampiezza della protezione garantita dall’ordinamento attraverso disposizioni che pongono specifici obblighi di prevenzione e protezione nonchè tramite la norma di chiusura di cui all’art. 2087 c.c., l’espressione di cui all’art. 40, D.Igs. n. 626/1994, secondo cui “Si intende per dispositivo di protezione individuale qualsiasi attrezzatura” nonché “ogni complemento o accessorio” destinati ad essere indossati e tenuti dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, deve essere intesa nella più ampia accezione possibile.
In ragione di quanto detto la giurisprudenza di legittimità ha collegato l’obbligo di fornitura e manutenzione dei D.P.I. alla idoneità, seppur minima, dei medesimi di ridurre i rischi legati allo svolgimento dell’attività lavorativa, costituendo specifico obbligo datoriale quello di porre in essere tutte le misure necessarie per garantire la salute e sicurezza dei lavoratori e quindi per prevenire, con specifico riferimento agli operatori ecologici, l’insorgere e la diffusione di infezioni in danno dei medesimi e dei loro familiari, a cui il rischio si estenderebbe in caso di lavaggio degli indumenti da lavoro in ambito domestico.
Ne discende l’irrilevanza della mancata previsione dello specifico D.P.I. nell’ambito del documento di valutazione dei rischi, atteso che l’obbligo di cui all’art. 4, comma 5, del D.L.gs. n. 626/1994 “costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi a prescindere dal fatto che il loro utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione dei rischi, redatto dal medesimo datore di lavoro” (in tal senso, con riferimento alla omologa previsione di cui all’art. 18, lett. d), D.Igs. n. 81 del 2008, cfr. Cass. pen. n. 13096 del 2017).
A maggiore chiarezza la Corte Suprema ha affermato il seguente principio di diritto “La nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c. (…).
Nella medesima ottica il datore di lavoro è tenuto a fornire i suddetti indumenti ai dipendenti e a garantirne l’idoneità, provvedendo al relativo lavaggio che, pertanto, rientra tra le misure necessarie “per la sicurezza e la salute dei lavoratori”, che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ai sensi dell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 626 del 1994 e s.m.i.”.
Esito del ricorso:
Cassa con rinvio.
Cassazione civile, sezione Lavoro, ordinanza 16 dicembre 2019, n. 33133